E poi il buio.
Sparisce la ferrovia in riva al mare

SOMMARIO

Nei primi anni '90, un'E.656 con una composizione omogenea di carrozze Tipo X percorre l'ansa in riva al mare, in località Aregai, tra San Lorenzo e Santo Stefano (IM).
La scomparsa della litoranea tra San Lorenzo e Ospedaletti, a settembre 2001, coincide all'incirca con la fine della ferrovia tradizionale, i suoi treni, le sue colorazioni, e con il passaggio all'uniformità moderna della colorazione bianco-verde "XMPR" e delle locomotive E.464.

 

San Lorenzo-Ospedaletti, gli ultimi tre giorni

30/9/2001

Lunedì scorso, 24 settembre, è stata definitivamente chiusa la ferrovia San Lorenzo-Cipressa - Ospedaletti Ligure, sostituita da una variante in galleria. Sono state soppresse le stazioni di San Lorenzo, Santo Stefano-Riva Ligure e Ospedaletti. La stazione di Taggia-Arma è stata sostituita da Taggia, ubicata circa 1800 m nell'entroterra, quella di San Remo è stata rimpiazzata da una fermata sotterranea, posta dentro la montagna e collegata all'uscita e al fabbricato viaggiatori da un tunnel pedonale lungo 400 metri.

La ferrovia da Savona a Ventimiglia era stata inaugurata il 10 febbraio 1872, elettrificata in trifase nel 1931, convertita in corrente continua nel 1967, il che fa 59 anni a vapore, 36 in trifase, 34 in continua. Proprio di questi ultimi sono stato testimone, negli ultimi 16 anni; 16 anni che fanno giusto giusto il 50% della mia vita - e non è poco.

Il 22, 23 e 24 settembre ero lì, tra San Lorenzo e Ospedaletti, per scattare le ultime foto, per provare a cogliere, vivere la fine, per cercare di immaginarmi come potesse essere quel mondo senza più il binario. Quello che segue è la cronaca di quei tre giorni. Non soltanto la cronaca degli avvenimenti, ma la cronaca delle sensazioni, delle emozioni - perché no? - dei sentimenti.


Arrivo a San Lorenzo la mattina di sabato 22. È ancora nuvolo, ma c'è il profumo del mare. Sottile, quasi impalpabile; come fosse ancora velato dall'alba che è appena finita, a tratti impercettibile o segreto. Ma c'è il profumo del mare.

San Lorenzo è lì, il campanile della chiesa, il bastione della stazione. La stazione in cui, di qui, è arrivato il primo merci - doppia di E.633 - di là, se ne è appena tornato il 2883, prendendo lento la controcurva verso l'ultimo rallentamento, accanto all'innesto della nuova linea, quello che più di tutti è presagio che siamo ormai arrivati alla fine.

La sera, in stazione di Diano Marina, ci sono i cartelli che annunciano la chiusura, i due giorni di autobus, i nuovi orari dal giorno 27. Il record della riduzione di percorrenza è per l'11385, l'ultimo regionale della sera: 22 minuti in meno, ma è chiaro che erano gli orari attuali ad essere malfatti, con incroci calcolati che peggio non si poteva (e difatti per la maggioranza dei treni le riduzioni sono poco più che trascurabili).

Non me l'aspettavo. Ecco, non mi aspettavo di trovarmi davanti quegli avvisi proprio stasera, a Diano, al termine di una giornata insperata e splendente, magica agli Aregai di Cipressa, serena a San Lorenzo, sempre con il mare in fronte. Non basta dire una tristezza, un'amarezza; è - è inevitabilmente - qualcosa di più, "un magone così".

La ferrovia del 1872; della trazione trifase che è stata, dei suoi segni che ancora oggi sono; la ferrovia descritta dalla Guida Rossa TCI del 1916 che ho in mano, disegnata sulla mappa al 200.000 del 1956 con cui ho giocato a orientarmi in questi giorni; la ferrovia del TEE Ligure e della Belvedere a San Remo, dei diretti internazionali e del Riviera Express; la ferrovia del diciannovesimo secolo e di tutto quanto il ventesimo, vede annunciata la sua fine, nel primo anno di questo secolo nuovo, da due cartelli scritti a computer, firmati Trenitalia, così modernamente asettici, così in qualche misura "volgari", ignoranti della Storia, di ogni storia.
Non voglio pensarci ora, e non riesco a non pensarci. Guardo indietro e vedo un mondo intero, che ho conosciuto, che ho fotografato, strenuamente, palmo a palmo, fino a quell'ultima, notevole inquadratura in teleobiettivo, dal PL di Santo Stefano verso il biforcarsi della deviata in stazione: un'inquadratura che a momenti mi sfuggiva! E proprio allora, una signora mi diceva: "Le ultime foto, eh!", con una voce, un tono insospettatamente amico.


Domenica mattina lo sciopero. A San Lorenzo la stazione è vuota. Camminare, quasi passeggiare per i tre binari, i due marciapiedi, la massicciata umida contro le suole, il Parasio che a tratti è foschia, a tratti appare quasi netto, il mare di sotto, ancora inquieto. Mancava, questo senso anomalo del "senza treni", senza treno alcuno, impresenziata: è inevitabile pensarlo un po' come "prova generale" di quel che sarà da dopodomani; ed insieme è qualcosa di più, di diverso, perché ancora non è dopodomani.

Poi, per farmi un po' del male, sono arrivato alla nuova stazione di Taggia. Se ieri era triste leggere i cartelli della fine, qui fa solo ribrezzo: al posto dell'intonaco, un cemento colorato che scimmiotta le tinte dell'arenaria, e tutto questo senso sconvolgente di moderno, così mille miglia lontano da qualunque atmosfera urbana di questa terra, dallo spettacolo della natura che vi è intorno. Da rabbrividire senza altre parole.

A Ospedaletti lo sciopero finisce, ma quel che torna a transitare sono tutti - dico: tutti - E.656 verdi XMPR. Ecco, forse è un po' questa la consolazione: questo binario se ne va pressoché insieme con la "mia" ferrovia, quella che non vorrebbe sapere che cosa è XMPR, che vorrebbe un blu splendente, un Isabella vivo, un arancio vivacissimo. Magra consolazione? Purtroppo non ne ho altre, se non quella, ben più ricca, delle foto, le centinaia di foto che sono riuscito a scattare in questa terra "più speciale", accarezzata dal binario e dal mare, vicini e amici.


Lunedì. Il giorno della fine. Arrivo a San Lorenzo che è ancora buio di nuvole. Poi... poi succede la magia. Il mondo si colora, a poco a poco e rapido insieme, e la luce grigia sopra il mare diventa grigio chiaro, e poi bianco e poi giallo, e il mare è come nascesse; in mezzo, con precisione cronometrica, l'ALe 801 di rimando incrocia il 1825.

Poi, a Santo Stefano, il dirigente movimento, che negli anni '80 era in servizio a Ospedaletti, mi conferma che allora le FS domandarono al Comune di Ospedaletti se volesse mantenere la stazione oppure no. Fu il sindaco in persona a chiedere - chiedere esplicitamente - che la stazione venisse soppressa. E adesso un bel cartello firmato dal Comune annuncia che dal giorno 25 la stazione è definitivamente chiusa. E quel "definitivamente", che ricorre in ogni avviso, è forse la cosa che più suona amara, nel suo essere insieme ovvia e ineluttabile.

Nel frattempo, sempre a Santo Stefano, un'anziana signora viene ad informarsi su un treno per Torino, e scopre che dovrà andarselo a prendere a Taggia cambiando due autobus, o a Porto, o a San Remo, che in autobus si sa sempre a che ora si parte e mai quando si arriva. E la signora si mette a protestare, a sbraitare!

E mi viene spontaneo pensare alle scene che ho visto domenica a San Remo, dove ogni persona di fronte ad un PL abbassato non faceva altro che dire "ancora un giorno e poi mai più". Ma... ma la signora che protesta perché il suo viaggio diventa più scomodo, i tizi che non sopportano di attendere cinque minuti a un PL chiuso (o di fare i 20 gradini del sottopasso che quasi sempre vi è accanto), queste sono tutte espressioni di un interesse particolare, di voler vedere il mondo con gli occhi della propria comodità.

Ecco, forse è questa la cosa che più di tutte se ne va, di là della ferrovia che chiude; è il senso di un bene collettivo, accettato proprio in virtù del suo essere "collettivo", anche quando vada a imporre qualche sacrificio al singolo. La ferrovia è sempre più mandata via, là dove nessuno la veda, dove non dia fastidio. E la ferrovia, essa stessa, diventa una questione commerciale "come tutte le altre" - la vendita delle tracce orarie al miglior offerente, per fare un esempio - gestita da società sempre più come tutte le altre. Avevo sempre pensato che la ferrovia non fosse una cosa come tutte le altre, fosse un bene importante, cruciale negli interessi della società, e come tale fosse responsabilità e impegno di quell'altra cosa importante che si chiama Stato. La fine di San Lorenzo è un po' come il prendere atto che questo mondo, che ritenevo "più giusto", non c'è più. Ora ne prendo atto.

E non posso non citare quest'altra cosa, anche se mi fa furente: i cartelli per l'inaugurazione della nuova stazione di San Remo, sopra la foto di un PL chiuso titolano "La città e il mare: collegamento ripristinato". Certo. Ma quale mare? La passeggiata Trento e Trieste - la storica passeggiata Federico Guglielmo del turismo ottocentesco degl'inglesi - non sarà più chiusa alle due estremità da due PL, ma qual è il mare che continuerà ad avere in fronte? L'enorme Porto Sole, quel diluvio di cemento che condivide con il porto di Santo Stefano il triste primato del peggior impatto ambientale di tutta la costa ligure. Allo stesso modo, sarà pure un'infrastruttura necessaria, ma il grande parcheggio dei pullman, rovente distesa di asfalto tra la (vecchia) stazione e il mare non credo proprio che accennerà a muoversi. Per non parlare della costa di levante, tutta "tagliuzzata" e privatizzata dalle villette, senza alcuna continuità a mare. C'è appunto di che essere furenti...


Garitta del km118. Dopo l'Aurelia Napoleonica sotto la torre Aregai, è qui l'altro, opposto, caposaldo di questa terra. L'ultimo a cui arrivare, come fosse una testimonianza. Ho ancora un treno da aspettare...

Guardo la curva a levante, il ritmo dei pali, il fronte del bastione. Questo è proprio l'addio, ora lo so e lo comprendo. E pare impossibile ancora, ed è amarissimo.

Siamo arrivati all'ultima sera, in stazione a San Lorenzo. Ci sono io, fotografo "duro e puro", ci sono altri tre fotografi, la moglie di uno di loro, una coppia anziana di villeggianti, venuta a salutare i treni, una signora che fotografa dalla finestra della casa in fronte, qualcun altro che ogni tanto fa capolino, la dirigente movimento che conoscevo già e che oggi mi sembra un po' meno "neutrale" del solito. Qui non c'è più chi impreca per i PL chiusi; siamo qui, tutti quanti, a dire addio alla nostra ferrovia. E questo è bello e speciale, sono felice di esser qui.

Alle 19.14 del 24 settembre, transitato l'IC 346 in ritardo e un treno di pellegrini per Lourdes, salgo in macchina e lascio il piazzale della stazione di San Lorenzo. Gli archetti trifase dall'Aurelia, mentre viene buio: so che non sarà mai più la stessa cosa.


San Lorenzo-Ospedaletti, "dopo la storia"

La "storia" era quella della ferrovia ottocentesca in riva al mare, la ferrovia viva e i suoi bellissimi treni. Quello che accade ora non può che essere "dopo".

13/8/2004

San Lorenzo-Cipressa

Una scritta più antica, riapparsa dopo la rimozione del classico cartello blu (13/8/2004).

Sede ferroviaria a San Remo

Presso l'albergo Maristella, al termine del Corso dell'Imperatrice. Per 1750 m, dalla stazione verso ponente, la sede ferroviaria è un unico, lunghissimo parcheggio (13/8/2004).

 

"San Lorenzo-Cipressa": la scritta nera sulle piastrelle, ricomparsa con la rimozione del cartello blu. Ma che squallore, che senso di abbandono; il solo rumore rimasto è quello della strada, parcheggi dove erano gli scambi d'ingresso, erbacce cresciute attorno ai pali. E, amarissima sorpresa, il cartello pubblicitario del nuovo porto turistico: credevo fosse finita, ogni scempio si fosse consumato, e invece no, ce l'hanno fatta un'altra volta. Che mondo è questo? Ora so che fine farà il "bastione" ferroviario, diventerà l'accesso stradale a questo nuovo porto.

L'ombra fresca della Torre Aregai, in quest'ora di mezzo, in cui, passato l'IC Tirreno - e prima ancora l'Espresso 349 - il sole cominciava a girare, a rendere possibili le inquadrature per i treni da Savona. I pali, i canneti, l'arenaria, il camminare a balzi su queste rocce: questo sono stato io per 15 estati, e del vento e del mare sento ancora l'odore; anche oggi che il sole non può più brillare sulla "striscia" di carrozze che si piega lungo le anse della costa, e un fischio non può più risuonare alle mie spalle.

Il pomeriggio arrivo a San Remo, ai giardini della Villa Comunale. Come non rimanere incantati di fronte a questo esplodere di mille alberi, splendenti di una solarità piena e avvolgente? Sono palme e oleandri, cedri e pini, lecci e pitosfori, ed altri ancora, a grappoli, a filari, dai nomi a me sconosciuti. Pochi metri più in là, però, non posso più sentire il rintocco del PL; i sassi della massicciata sono lì, immobili e disordinati; ancora una volta sono venuto qui a seguire la mia ferrovia, a vedere quel che ne resta. Ne resta sempre meno, e sempre meno vale la pena di seguirla, ma ancora una volta doveva essere.

Indietro, Arma è un grande parcheggio, ordinato e utilizzatissimo, persino gratuito. Un ottimo intervento, assolutamente inappuntabile: ci voleva proprio.
Come si fa a spiegare che erano invece possibili altri modi - e un altro in particolare - per risolvere il problema assai più a monte, per far sì che un tale parcheggio proprio non ci volesse?
Si abbandona una ferrovia, un pezzo alla volta, prima di tutto non sapendola gestire nel modo giusto, e infine del tutto, e si devono costruire nuove strade. Come fa a non apparire a tutti assolutamente evidente?

La Passeggiata Imperatrice, per oggi, è l'ultima meta. Immaginavo che sarebbe stata una vista per cuori robusti: lo è. Un parcheggio continuo, dall'estremità di levante della stazione fino al cimitero: fanno 1750 metri, addirittura un'offerta di posti auto superiore alla domanda. Che cosa ti aspettavi? Il Ligure con E.444 blu in controluce?
Dietro il muretto il mare sfavilla di turchese e di blu, le onde fin al Capo Verde, in questa giornata così frammista di un addio, definitivo, alla ferrovia, e di una terra ancor di continuo pronta a stregare.

Di nuovo al km 118, l'odore secco e intensissimo della vegetazione, il senso anomalo dei propri passi che risuonano sui sassi grigi, il colore del mare, di là del canneto, bello come se non servisse nemmeno cercare di raccontarlo. Con il sentimento aspro di voler dire: deve essere l'ultima volta.


Dopo quella giornata di agosto, non sono più tornato a San Remo appositamente per seguire i resti della ferrovia. Ci sono passato varie altre volte, ma perché andavo oltre, sul Tenda o sulla Nizza-Digne, oppure volevo documentare altri scempi, estranei alla ferrovia.
Per la cronaca, non ho nemmeno mai viaggiato sulla nuova linea, né ho mai messo piede dentro la stazione di San Remo. Non ho mai avuto alcuna fretta di conoscere diluvi di cemento [arriverò a San Remo sotterranea solo nel 2009, e percorrerò l'intera linea per la prima volta nel 2012, e poche altre volte negli anni seguenti].


Argomenti correlati:


[Indice della sezione / This Section]

[Home page]