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Vari studenti mi chiedono informazioni, soprattutto quando stanno incominciando una tesi di laurea. Spesso vorrebbero affrontare il tema della "riforma delle ferrovie", oppure della liberalizzazione del mercato ferroviario, ma rimangono intimoriti dalla vastità di questi argomenti.
Ho provato a metter giù un po' di proposte di studio, per ora soprattutto sugli argomenti di economia: credo che possano servire quanto meno per orientarsi e mettere a fuoco quello che si vuole davvero analizzare.
E' chiaro che questi sono solo suggerimenti: l'analisi potrebbe combinare più aspetti, ad esempio la regionalizzazione e la liberalizzazione, oppure le trasformazioni societarie con i rapporti economici, e così via.
Molti di questi argomenti sono già trattati o accennati sul sito. In realtà quello che lì manca è proprio un'analisi più strettamente economica, che consideri davvero i costi e i benefici legati a tutte queste trasformazioni.
Inoltre - e questa è forse la parte più difficile - occorre avere sempre presenti gli effetti sul servizio (treni, orari, tariffe, ecc.), visto che il fine delle ferrovie non è avere una bella forma societaria, ma muovere viaggiatori.
Naturalmente mi fa sempre piacere sapere che qualcuno ci ha provato: scrivetemi pure!
E' l'argomento più generale, quello che racconta e cerca di interpretare tutto il "divenire" che ha accompagnato le FS, dall'Azienda Autonoma, durata dal 1905 al 1985, fino all'ultima riorganizzazione, che finora è quella del gennaio 2006.
Naturalmente occorre cercare di capire i motivi delle trasformazioni: ad esempio la separazione tra servizi e infrastruttura deriva dal recepimento delle direttive europee, mentre, all'opposto, la nuova separazione tra trasporto regionale e lunga percorrenza (ultima riforma) per la prima volta nasce in risposta alle proteste dell'utenza, a seguito delle disastrose prestazioni del nuovo orario di dicembre 2005 (soppressione degli interregionali).
E' però anche indispensabile saper guardare con occhio critico ai pregi e ai difetti che le riforme hanno portato, e soprattutto agli effetti, anche indiretti, sul servizio ferroviario, cioè sulle relazioni, i tipi di treni, l'orario, le tariffe. Per questo è indispensabile avere (ed essere in grado di restituire) una visione globale della ferrovia italiana, dei suoi vincoli storici e tecnici, del suo funzionamento.
Un'analisi economica, sicuramente complessa, dovrebbe infine esaminare i costi che queste riforme hanno avuto per il proprietario delle FS, cioè lo Stato italiano, e di conseguenza per i cittadini.
Perché il trasporto regionale deve essere gestito dalle Regioni? E, affinché lo gestiscano le Regioni, è necessario che anche l'impresa ferroviaria abbia un'organizzazione regionale? E quali sarebbero i vantaggi o gli svantaggi se le imprese stesse fossero a scala regionale (un'impresa economicamente e giuridicamente distinta per ogni Regione)?
Un'analisi critica sul processo di regionalizzazione, avvenuto in attuazione del DLgs 422/97, dovrebbe portare a rispondere a domande di questo tipo. Sarebbe poi necessario investigare le problematiche di competenza: chi fa la pianificazione del servizio, chi decide l'orario, di chi deve essere la proprietà dei rotabili e quali gli strumenti per il loro finanziamento.
Un ampio spazio deve essere dedicato allo strumento più importante della regionalizzazione, e cioè il Contratto di servizio tra Regione e Impresa, con tutti gli aspetti connessi: definizione del prezzo (cioè del sussidio), standard di qualità, monitoraggio, penali. L'analisi dei vari contratti oggi in essere costituisce una prima via, non esaustiva, per individuare i problemi e proporre strategie per i prossimi contratti.
Dal punto di vista delle Regioni, e dunque della finanza pubblica, andrebbero poi esaminate le fonti di finanziamento aggiuntive rispetto alle risorse trasferite dallo Stato, che le Regioni sono state in grado di reperire (o che potrebbero essere reperite in futuro), per pagare i servizi ed eventualmente contribuire all'acquisto di rotabili.
Infine va analizzato il rapporto con il terzo soggetto, cioè il gestore dell'infrastruttura, che al momento non ha alcun vincolo contrattuale con le Regioni: quali strategie si potrebbero adottare per creare questo vincolo, e quali riflessi si avrebbero nei flussi economici tra Stato, Regioni, imprese e gestore.
Liberalizzare il servizio ferroviario significa permettere che più imprese ferroviarie effettuino treni sulla stessa rete. Innanzitutto vanno distinti i due casi: competizione nel mercato (più imprese competono sulla stessa relazione) e competizione per il mercato (un'impresa svolge le proprie relazioni in esclusiva, a seguito di affidamento mediante una gara pubblica).
La competizione nel mercato ha portato ad esempio alla nascita degli operatori privati nel trasporto merci (RTC, FNC, Del Fungo, ecc.), che oggi gestiscono tra il 5 e il 10% del settore, mentre ha finora poca rilevanza per i servizi viaggiatori a lunga percorrenza, per i quali è comunque formalmente possibile. La competizione per il mercato, che la legge rendeva obbligatoria per il trasporto regionale, ha incontrato difficoltà innegabili, tanto che questo aspetto può essere oggi considerato il più fallimentare di tutte le riforme ferroviarie.
Occorre pertanto analizzare entrambi i tipi di concorrenza, anche alla luce degli indirizzi contenuti nelle direttive europee, e tenendo conto che le bozze di nuove direttive oggi allo studio sembrano prefigurare un'inversione di tendenza soprattutto per il trasporto regionale.
Per i servizi a lunga percorrenza, vanno in particolare esaminate le opportunità connesse con la prossima apertura della rete AV che, almeno sulla Milano-Roma, appare l'unica relazione con concrete possibilità di attirare un nuovo operatore. Per il trasporto regionale vanno serenamente analizzate le cause oggettive della mancata liberalizzazione: indisponibilità della flotta, vincoli sul trasferimento del personale, incertezze sulla qualità dell'infrastruttura e sulla sua gestione, poca appetibilità economica. Questo dovrebbe portare a formulare strategie per il futuro, che potrebbero considerare o escludere la prosecuzione della liberalizzazione.
Una qualunque impresa di trasporto che voglia introitare 100 si trova sempre di fronte a due strategie opposte: è meglio avere 10 viaggiatori che pagano 10 ciascuno, oppure 5 viaggiatori che pagano 20? Il risultato in termini puramente monetari è del tutto identico, ma ovviamente le strategie tariffarie e "di prodotto" che ne derivano sono assai diverse, e differenti sono le implicazioni aziendali (consistenza della flotta, capacità di gestire le punte di traffico, ecc.).
E' l'argomento che comporta le più importanti implicazioni "etiche" e strategiche. Ad esempio in altre nazioni è stato dato un esplicito mandato all'impresa ferroviaria: raccogliere il massimo numero possibile di viaggiatori, in ragione della valenza ambientale della ferrovia. In Italia oggi la situazione è molto più ambigua: al di là degli intenti ambientalistici formali, alle imprese sembra chiedersi prima di tutto la solidità economica, quando non l'utile, spesso dimenticandosi delle complesse interazioni con i sussidi, la proprietà statale delle imprese stesse e, soprattutto, le assai più impegnative politiche di governo della mobilità.
Vanno quindi analizzate le politiche tariffarie più recenti: da un lato le strategie di low cost e di vendita promozionale, dall'altro la tendenza a imporre molteplici surrogati di aumenti tariffari (prenotazione obbligatoria, obbligo ad utilizzare servizi più costosi, come gli IC al posto degli IR, ecc.), senza dimenticare le strategie di fidelizzazione, come le carte metà prezzo, che in Italia hanno sempre avuto troppo poca rilevanza.
Un capitolo significativo è rappresentato dall'integrazione tariffaria, che coinvolge non solo la singola impresa ferroviaria, ma anche altre imprese e altri modi (bus, parcheggi di interscambio, servizi urbani, ecc.). Gli aspetti chiave da analizzare comprendono la ripartizione degli introiti fra le aziende, il costo del biglietto integrato rispetto a quello precedente e l'approccio rispetto al sussidio (il vantaggio economico per il viaggiatore è legato a un sussidio pubblico aggiuntivo, oppure le imprese garantiscono uno sconto confidando solo nel maggior numero di viaggiatori generati dall'integrazione).
Infine vanno considerate le politiche sulla rete di vendita e i problemi ad essa connessi: chiusura delle biglietterie, sovrapprezzi per biglietti acquistati a bordo, incompletezza dei sistemi di emissione automatica, ecc.
Quanto costa all'azienda un treno che percorre 50 km, è formato da 6 vetture e condotto da due macchinisti e un capotreno? Quanto pesano manutenzione e ammortamento dei rotabili? Quanto introita dai biglietti? Come è possibile simulare gli effetti economici derivanti dall'introduzione di un nuovo treno o addirittura da una profonda riorganizzazione dell'orario?
Trenitalia utilizza al proprio interno un metodo parametrico che risponde a queste domande. E' un metodo interessante e semplice, ma con alcuni limiti evidenti, in primo luogo legati alla parametrizzazione a scala nazionale e alla relativa "povertà" dei dati, soprattutto per gli introiti.
Sarebbe possibile fare di meglio, mantenendo comunque una ragionevole semplicità operativa? Che dati dovrebbero essere raccolti, e come andrebbero elaborati? Quali valori aggiunti ne deriverebbero? Come queste nuove informazioni potrebbero essere utilizzate nella programmazione, sia aziendale, sia commerciale? Questa analisi dovrebbe rispondere a domande simili e arrivare a proporre un metodo operativo più efficace e concretamente praticabile.
Sulla rete nazionale, la divisione tra servizio e infrastruttura è ormai cosa fatta e i rapporti economici tra imprese e gestore nazionale sono esplicitati in maniera molto chiara nel pagamento del canone di accesso (pedaggio). Tuttavia questa chiarezza formale si trasforma in una realtà assai più complessa se si considerano tutti i flussi economici in gioco, e quindi, inevitabilmente, i sussidi. Infatti il gestore dell'infrastruttura, oltre che introitare il canone, è anche sussidiato dallo Stato attraverso il Contratto di programma. Per le imprese ferroviarie, si hanno servizi formalmente non sussidiati (lunga percorrenza e merci) e servizi sussidiati, sia dallo Stato (es. espressi notturni), sia dalle Regioni (trasporto regionale).
In quest'ultimo caso, lo Stato trasferisce risorse alle Regioni, che le utilizzano per sussidiare Trenitalia, incluso il canone che questa verserà poi al Gestore dell'infrastruttura, che a sua volta è di proprietà dello Stato: un percorso circolare che può influenzare significativamente la gestione e lo sviluppo del servizio. Infine nel caso delle ferrovie in concessione, ad oggi non vi è di norma una divisione netta tra servizio e infrastruttura, e la ferrovia è globalmente sussidiata dalla Regione.
Questo studio, che richiede notevole padronanza nell'analisi dei conti pubblici e dei bilanci aziendali, dovrebbe riuscire a evidenziare gli eventuali sprechi e le contraddizioni insite nella struttura attuale dei flussi economici, e a proporre possibili soluzioni, tese soprattutto a creare circoli virtuosi di potenziamento dei servizi ferroviari.
Il metodo di calcolo del pedaggio sulla rete nazionale (DM 43T del 2000) è ormai assodato e in uso da anni. Tuttavia, nel 2004 è stato proposto un nuovo metodo, sostanzialmente più semplice del precedente, la cui attuazione tarda, anche a causa delle variazioni di canone totale che si avrebbero a livello delle singole regioni.
In estrema sintesi, il metodo originale cercava di tariffare le tracce in funzione del costo reale per il gestore, ma questo si traduceva in pratica nell'introduzione di parametri complessi (legati alla velocità della linea, al peso del treno, al numero di pantografi, ecc.), senza tuttavia la garanzia di una fedele interpretazione dei costi reali. Nel nuovo metodo il costo del pedaggio ha un valore assai più convenzionale, che tuttavia può rivelarsi più utile per governare la richiesta di tracce. Ad esempio è possibile maggiorare il pedaggio sulle tracce e le fasce orarie più richieste (secondo l'impostazione più diffusa) ma sarebbe anche possibile garantire prezzi minori – proprio perché convenzionali – ai servizi che si desidera incentivare, come per esempio quelli metropolitani, in una strategia di supporto della ferrovia a scopo di tutela ambientale, come previsto ad esempio dallo stesso DLgs 188/2003 (art. 17).
L'analisi dovrebbe investigare i possibili metodi di pedaggio e individuare vantaggi e svantaggi di ciascuno, anche in termini di applicabilità pratica e di effetti sul servizio.
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Rappresenta un argomento "di nicchia", che unisce l'economia all'analisi territoriale e della mobilità. Negli ultimi vent'anni, i servizi internazionali si sono profondamente modificati, molto di più dei servizi interni: una fitta rete di collegamenti internazionali è pressoché integralmente scomparsa (basta vedere la variazione nel numero di treni internazionali sulla Riviera Ligure). Anche il percorso degli Eurocity, eredi dei TEE, si è progressivamente ridotto e trasformato, sostituendo singole relazioni a lunghissima percorrenza con sistemi cadenzati più brevi (es. Milano-Basel cadenzato invece di Milano-Amburgo con una corsa al giorno).
Altre importanti trasformazioni hanno interessato i servizi notturni, e il tutto si è tradotto anche in modifiche nel tipo della flotta: ad esempio tornano ad essere maggioritari i servizi con materiale leggero, invece che con locomotiva e carrozze, come curiosamente già accadeva negli anni '50, al tempo dei primi TEE.
Infine, soltanto dopo questo ridimensionamento dei servizi, si sono attuate innovative politiche tariffarie di tipo low cost, che oggi coinvolgono pressoché tutte le relazioni internazionali residue.
Lo scopo dell'analisi è pertanto capire le ragioni del tramonto dei collegamenti internazionali classici e definire delle strategie – trasportistiche, societarie, commerciali – per continuare a far viaggiare questi treni, e, possibilmente, aumentare i loro viaggiatori.