Redatto a gennaio 2011
Da: Il Canzoniere, 1945
Falce martello e la stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno sul quel muro!
Entra, sorretto dalle grucce, il prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell'idea
che gli animi affratella; chiude: "E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro".
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.
Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il cannone, e Firenze
taceva, assorta nelle sue rovine.
Dopo ogni guerra c'è chi deve ripulire.
L'ordine, seppur approssimato,
certo non viene da solo.
C'è chi deve rimuovere le macerie
al bordo delle strade,
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C'è chi deve calarsi
nella mota e nella cenere
fra le molle dei divani letto,
fra le schegge di vetro,
fra gli stracci insanguinati.
C'è chi deve trascinare una trave
per puntellare un muro.
C'è chi rimetterà i vetri alla finestra,
e incardinerà le porte.
Fotogenico non è
e richiede anni e anni.
Tutte le telecamere sono già fuori,
per un'altra guerra.
I ponti riattivare,
e le stazioni rifare.
Ridotte a brandelli le maniche
a furia di rimboccarle.
Uno, con la scopa in mano,
che ancora ricorda come fu.
Uno che ascolta
annuendo col capo superstite sul collo.
Ma, in zona, cominceranno ad
aggirarsi quelli
che ne saranno annoiati.
C'è chi andrà ancora
a disseppellire sotto un cespuglio
argomentazioni corrose dalla ruggine
per depositarle sulla pira delle scorie.
Chi sapeva di che si trattò
deve far posto a chi
sa troppo poco.
O meno di poco.
Oppure lo stesso che niente.
Tra l'erba che ha coperto le cause e gli effetti
dev'esserci qualcuno disteso,
con una spiga fra i denti
a guardare le nuvole.