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In questo paragrafo viene affrontato uno dei concetti fondamentali relativi alle scansioni. La domanda è: a che risoluzione va eseguita la scansione?
La prima risposta è: dipende da che cosa voglio fare con l'immagine acquisita.
Vediamo i vari casi.
Il primo, più semplice, è: voglio stampare l'immagine così acquisita.
In questo caso la risoluzione di scansione deve essere tale da garantire una sufficiente risoluzione di stampa.
Immaginiamo di effettuare la scansione da diapositiva o negativo. Noto in margine che, se l'originale è una stampa, è di norma assai raccomandabile effettuare la scansione direttamente dal negativo e non dalla stampa, perché così si evita di aggiungere un "passaggio" in più.
In questa ipotesi, la dimensione della diapositiva o del negativo è ovviamente costante; di conseguenza la risoluzione da impostare sullo scanner dipende dai pixel che si desiderano nell'immagine finale, secondo la formula:
risoluzione (DPI) = lato in pixel desiderato / 36 mm × 25,4
dove 36 mm è la larghezza del negativo e 25,4 è ovviamente il fattore di conversione da mm a pollici.
Per calcolare la dimensione in pixel dell'immagine stampata, il valore costante è invece la risoluzione voluta, misurata in punti per pollice (DPI). Se si deve fare un uso tipografico dell'immagine, il valore convenzionale considerato ottimale è di 300 DPI. Quindi l'immagine acquisita andrà ridimensionata secondo la seguente formula:
lato in pixel = lato in mm / 25,4 × 300
Per la stampa fotografica tradizionale (chimica) o per quella casalinga a getto d'inchiostro, la risoluzione può scendere a circa 200 DPI, per ingrandimenti fino all'ordine del 20*30, senza significativo scadimento qualitativo. Se poi si passa a ingrandimenti molto forti (poster 30*45 o 50*70), la risoluzione può scendere ancora (vedi anche le note sulle stampe di Photocity).
Combinando le due formule precedenti, si ha infine:
risoluzione di scansione (DPI) = (lato in mm della stampa finale / 36) × 300
dove 300 potrà anche diventare 200 o meno, nei casi citati sopra.
Notiamo anche che il termine tra parentesi non è altro che l'ingrandimento richiesto, essendo 36 il lato del negativo in mm.
Se vogliamo fare un ingrandimento 20*30, il lato in mm della stampa finale è 300 mm, l'ingrandimento richiesto è 300/36 = 8,33. Quindi una stampa a 300 DPI deve essere acquisita a 300*8,33 = 2500 DPI allo scanner, che corrispondono a un lato maggiore in pixel pari a 300/25,4*300 = 3540 pixel.
Il lato minore, per foto nel tradizionale rapporto 2:3 tra i lati, risulta 3540/3*2 = 2360. L'immagine che abbiamo ottenuto è pertanto di 3540*2360 = 8354400 pixel, cioè circa 8 Megapixel.
Vanno tenuti presenti i seguenti punti:
Se l'originale è una stampa, la formula precedente resta valida:
risoluzione di scansione (DPI) = (lato della stampa finale / lato dell'originale) × 300
In questo caso però, l'ingrandimento sarà mediamente più modesto. In particolare l'ingrandimento vale ovviamente 1, se voglio stampare nello stesso formato dell'originale.
Di conseguenza uno scanner piano da 300 o al più 600 DPI è indicato nella maggior parte delle situazioni, anche perché ingrandire fortemente una stampa, salvo che l'originale non abbia una nitidezza eccezionale, porta a un rapido decadimento della qualità (per questo motivo, qui sopra, consigliavo di partire dal negativo, ovunque possibile, e non dalla stampa). Un ingrandimento massimo ragionevole è pari a 2, da cui appunto la necessità di scanner al massimo da 600 DPI.
Il vantaggio di scanner piani più potenti, per esempio da 1200 o 2400 DPI non sta dunque nel dover utilizzare la massima scansione, salvo casi molto particolari, quali ad esempio la scansione di francobolli o altre stampe molto minute e/o di nitidezza molto elevata (come le... banconote!). Tuttavia scanner con risoluzione massima superiore dovrebbero dare in media risultati migliori anche se usati a risoluzioni relativamente basse, perché avranno un'ottica comunque più curata.
Inoltre essi possono essere utilizzati anche per l'acquisizione di negativi e diapositive, mediante gli appositi adattatori, come sempre più di frequente succede (anche se è mia opinione che sia sempre meglio usare scanner specifici per negativi e diapositive).
Se la scansione è destinata ad essere vista solo a schermo (per esempio perché andrà su un sito web), basta la prima delle formule citate sopra, dato che, più che di risoluzione di stampa, viene comodo parlare direttamente di lato in pixel. Infatti il numero di pixel di uno schermo è una grandezza di immediato significato fisico. Si ha dunque:
risoluzione (DPI) = lato in pixel desiderato / lato in mm dell'originale × 25,4
Uno schermo ha un lato che va da 640 pixel (risoluzione base VGA) fino a circa 1280 pixel (risoluzione dei moderni schermi LCD). Siccome non tutti hanno schermi ad alta risoluzione e, di solito, occorre lasciare un po' di spazio per le cose che stanno intorno all'immagine (bordi, didascalie, pulsanti, ...), si considera che un'immagine per lo schermo debba avere un lato di 800 o al massimo 1024 pixel.
Di conseguenza la risoluzione da negativo è di 800/36*25,4 = 560 DPI.
La risoluzione da un originale stampato, per esempio una cartolina 10*15 è di 800/150*25,4 = 135 DPI.
Si tratta quindi di valori decisamente bassi, alla portata di qualunque scanner.
Ottenere una buona scansione è un lavoro di un certo impegno. Anche quando si eseguono scansioni destinate al web, bisogna cercare di essere lungimiranti. Se scegliamo la risoluzione solo per lo schermo, teniamo presente che poi l'immagine risultante non potrà essere stampata, se non in formato molto piccolo (800 pixel = 6,5 cm a 300 DPI).
Se non si è assolutamente certi che non sarà mai necessario stampare l'immagine, conviene senz'altro fare la scansione a una risoluzione superiore: ad esempio almeno 1300 DPI, se da negativo o diapositiva, che corrispondono a un formato cartolina 10*15 a 300 DPI.
Se poi consideriamo la scansione anche come un'utile e prudente copia di back-up dei nostri originali su pellicola, la risoluzione consigliabile è proprio intorno a quei 2500 DPI di cui si diceva sopra, che sfruttano al meglio la pellicola di partenza. Di più non servirebbe (di nuovo: salvo specifici casi di elevatissima qualità dell'originale); di meno, perderebbe delle informazioni dell'originale, cosa ovviamente non auspicabile per una vera copia di back-up.
Cito qui in margine un problema in realtà tutt'altro che marginale. Si è sempre detto che un disco rigido non è un buon posto dove archiviare un backup, per il semplice fatto che può rompersi. I CD-ROM scrivibili (CD-R) sembravano la soluzione migliore.
Ma siamo proprio sicuri che un CD-R sia "per sempre"? Purtroppo sembra proprio di no.
Mentre i CD "stampati" (quelli musicali o quelli con i software originali) sono molto robusti e longevi, sembra che non si possa dire altrettanto dei CD-R (e men che meno dei CD-RW o riscrivibili). Questo è dovuto alla potenziale instabilità del composto chimico che utilizzano (quello che dà la sfumatura azzurro-verdognola). Si tratta precisamente del "Dye polymer", uno strato contenente il colorante attivato dalla luce laser del masterizzatore e realizzato con cyanine, phtalocyanine o azo.
Le informazioni trovate su Internet, cercando ad esempio CD-R durability, sono frammiste, ma non confortanti. Non è un problema da poco, soprattutto per chi è passato completamente alla fotografia digitale.
Se infatti una diapositiva scolorita si può spesso recuperare al computer, un file illeggibile è illeggibile punto e basta! Tutto sommato, questo potrebbe diventare uno dei punti più a favore della pellicola.
Non bisogna dimenticare che lo scanner non è (solo) un prodotto software, a cui si può chiedere tutto quello che si vuole, ma è anche (soprattutto) fatto di hardware, ed è quindi soggetto a vincoli fisici. Ad esempio il mio Canon FS 2710 ottiene i risultati migliori, quando lavora a risoluzioni "alte", se imposto risoluzioni sottomultiple di quella fisica dello scanner. Se infatti uso 2720 o 1360 DPI, questo corrisponde a salvare su file un pixel che è formato esattamente da uno oppure due pixel fisici del sensore. Questa è una situazione che lo scanner sa gestire bene. Se invece usassi una risoluzione di 2000 DPI, un pixel su file sarebbe prodotto da un pixel e mezzo del sensore. Questo caso è più problematico e viene evidentemente gestito meno bene dal mio scanner, dando luogo a effetti di disomogeneità – una specie di effetto Moiré – soprattutto nelle linee rette oblique (i fili della linea aerea!) che sono sempre tra le cose più difficili da gestire.
In sostanza evito le risoluzioni intermedie tra quella fisica e la sua metà, e se mi serve una risoluzione diversa, ridimensiono l'immagine a posteriori ("Resample" in Paint Shop o Resize con funzione "bicubic" in Photoshop).
Il difetto scompare a risoluzioni basse, perché a questo punto ogni pixel in uscita è comunque formato da molti pixel fisici.
Domanda classica: ma se la mia stampante ha una risoluzione superiore a 300 DPI, per esempio 720, 1440 o ancora di più, dovrò ben darle immagini a quella risoluzione, se voglio ottenere il massimo dei risultati!
Assolutamente no! La risoluzione della stampante a getto d'inchiostro, così come dichiarata dal costruttore, non va confusa con la vera risoluzione di stampa. Infatti la risoluzione dichiarata si riferisce alle singole goccioline dei colori primari (ciano, magenta, giallo, nero) più eventuali colori aggiuntivi (ciano chiaro, magenta chiaro, rosso, blu, ecc.). Mentre nella stampa tipografica per ottenere le sfumature di colore, i punti colorati che compongono il retino assumono dimensioni differenti, nella stampa a getto i punti sono tutti della stessa (piccolissima) dimensione, ma le singole goccioline vengono raggruppate in "pattern", cioè in reticoli di più goccioline. Se infatti immagino un semplice reticolo 2*2, per ogni colore primario potrò ottenere quattro intensità, pari a 1, 2, 3 o 4 goccioline lasciate cadere nel reticolo. Ma in questo modo ho dimezzato la risoluzione finale, perché comunque mi occorrono due file di goccioline per ogni fila di pixel di partenza. Se il reticolo è 4*4, avrò sedici sfumature, ma un quarto di risoluzione finale.
Per inciso, gli inchiostri con i colori aggiuntivi, tipici delle stampanti "fotografiche", servono proprio per fare un reticolo con meno goccioline, e quindi avere comunque un'elevata risoluzione. Per avere 16 sfumature di magenta posso infatti fare un reticolo 4*4 con il solo magenta, oppure (all'incirca) un reticolo 2*2 di magenta, sovrapposto a un altro analogo di magenta chiaro, cioè in pratica di rosa.
Quindi, in conclusione, una stampante che vanta più di 300 DPI stamperà meglio le sfumature di colore, ma funzionerà comunque in modo ottimale se continuo a farle stampare file con risoluzione fisica di 300 DPI (o, come detto prima, anche meno, per forti ingrandimenti).
La risoluzione della stampa tipografica si misura in righe al centimetro (le righe sono quelle del "retino" di stampa), ed è di norma pari a 60 oppure 72 righe, che corrispondono rispettivamente a circa 152 oppure 173 DPI. Da dove escono dunque i 300 DPI di cui abbiamo parlato finora? Escono dal fatto che in mezzo c'è comunque una trasformazione - dall'immagine in pixel al retino tipografico - e si è visto sperimentalmente che la migliore resa si ha se la risoluzione in pixel è circa da una volta e mezzo a due volte superiore a quella del retino. E 300 DPI è proprio 1,74 volte le 72 righe al centimetro. Quindi è una cifra tonda (nell'unità di misura inglese) che soddisfa questa condizione.
Solo in particolari libri d'arte si arriva a 120 righe al centimetro, che effettivamente richiederebbero più di 300 DPI in pixel (e quindi scanner a risoluzione superiore), ma non sono certo ambiti alla portata di tutti.