La guida di una locomotiva elettrica

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Un'applicazione pratica di elettrotecnica: la guida di una locomotiva elettrica

Aggiornamento 9-2009: le curve caratteristiche di molte altre locomotive.

Se le automotrici diesel tradizionali, come le ALn 668, si guidano in maniera sostanzialmente simile a come si farebbe con un autobus, con tanto di "marce" e di cambio meccanico, la guida di una locomotiva o un'elettromotrice a corrente continua è qualcosa che si discosta dall'esperienza quotidiana dei viaggiatori: vale pertanto la pena di descriverla per sommi capi.

Le tradizionali locomotive reostatiche

Il motore a corrente continua di un treno non è poi così diverso, come principio di funzionamento, dai piccoli motori montati sui registratori a cassette, o anche sui treni elettrici in miniatura: è formato da un rotore, dotato di avvolgimenti, che prende corrente attraverso spazzole striscianti su un collettore. Tuttavia, le grandi potenze in gioco impongono una sostanziale differenza: tutti i "transitori", cioè le variazioni di movimento, come la partenza e l'accelerazione del treno, devono essere gestiti con idonee apparecchiature, in modo da limitare la corrente entro valori accettabili. Nelle macchine reostatiche, cioè in tutti i mezzi FS a corrente continua fino alle ALe 801 e alle E.656 (costruite fino al 1989), questa funzione è svolta dal reostato, che permette di ridurre temporaneamente la tensione ai capi dei motori, dissipando l'energia nei suoi pacchi di resistenze.

Una legge dell'elettrotecnica insegna che la velocità di rotazione di un motore è proporzionale alla tensione e inversamente proporzionale al flusso magnetico. Dato che su una locomotiva ci sono più motori, il modo più semplice per impostare differenti velocità è quello di cambiare il modo con cui i motori sono collegati fra loro: se si collegano i motori in serie, ciascuno disporrà di una tensione pari alla tensione totale divisa per il numero di motori; se li si collega in parallelo, tutti disporranno della tensione totale e gireranno quindi a velocità maggiore. Collegando i motori a gruppi, si riescono a ottenere in genere fino a quattro combinazioni, chiamate tradizionalmente serie, serie-parallelo, parallelo e super parallelo. A ciascuna combinazione corrisponde una velocità di regime, o, come si usa dire, una velocità economica, funzione anche dello sforzo richiesto, cioè della massa del treno.

Combinazioni dei motori di una locomotiva E.646

La tensione ai capi di ciascun motore è pari alla tensione di linea (3000 V) divisa per il numero di motori nel ramo. Quindi le combinazioni di serie comportano una tensione minore e dunque una minore velocità di rotazione.
La corrente massima in ciascun ramo è limitata da appositi relé di massima corrente, tarati ai valori indicati (in superparallelo il limite di 450 A per ramo è dato dal relè di massima corrente generale tarato a 1800 A).
La corrente massima assorbita dalla linea (cioè captata dal pantografo) è data dalla somma delle correnti di ciascun ramo. Di conseguenza le combinazioni di parallelo comportano un assorbimento complessivo maggiore, e infatti corrispondono alle velocità maggiori, in cui la locomotiva sta sviluppando più potenza.
 

Curve caratteristiche di una locomotiva E.656 (immagine semplificata)

Ad ogni combinazione dei motori corrisponde una curva caratteristica, cioè un legame tra la velocità della locomotiva e lo sforzo di trazione esercitato.
Fin tanto che lo sforzo è maggiore della resistenza opposta dal treno, la locomotiva accelera. Di conseguenza ci si sposta lungo la curva caratteristica verso destra (senso della freccia verde), la velocità aumenta e la corrente diminuisce, come si legge dalle curve che "tagliano" la caratteristica: 400 A, 350, 300 e così via.
Quando lo sforzo eguaglia la resistenza, la locomotiva marcia a velocità costante, cioè alla "velocità economica" corrispondente a quella data combinazione dei motori. Ad esempio nella combinazione serie-parallelo, se per tirare il treno sono necessarie 6 t (riga rossa), la locomotiva si stabilizza alla velocità di circa 63 km/h (riga azzurra) a cui corrisponde un assorbimento di 200 A in ciascun motore (pari a 400 A captati dal pantografo, come si vede dalla figura precedente).

Per ampliare il numero di velocità economiche, si ricorre all'indebolimento di campo o shunting: alcune spire dell'avvolgimento che genera il campo magnetico vengono cortocircuitate, cioè escluse. Il flusso magnetico diminuisce e, per la legge richiamata sopra, la velocità di regime aumenta, a pari tensione applicata, cioè a pari combinazione dei motori. Naturalmente, dal momento che per andare più veloce occorre più energia, ciò corrisponde a un aumento della corrente assorbita (se si osservasse la forza di trazione a pari corrente, essa risulterebbe minore a campi indeboliti rispetto al pieno campo). Il numero totale di velocità economiche è quindi dato dal prodotto delle combinazioni per i gradini di indebolimento di campo, che in genere variano tra uno e cinque, più la condizione a pieno campo. Ad esempio la E.636 ha tre combinazioni e un gradino di indebolimento (più il pieno campo), cioè 6 velocità economiche, la E.444 ha due combinazioni e cinque gradini oltre al pieno campo, cioè 12 velocità economiche.

Curve caratteristiche di una locomotiva E.656

Questo è il grafico completo, con anche le curve corrispondenti ai vari gradi di indebolimento di campo (shunting), indicate a tratteggio: come per le E.646 ci sono 5 gradi per le prime due combinazioni e tre per le restanti due.
A pari corrente (cioè muovendosi lungo le linee 200 A, 250 A, ecc.), con il campo indebolito la velocità è maggiore ma lo sforzo di trazione è minore.
A pari velocità (cioè nel momento in cui si dà un indebolimento di campo), aumenta la corrente assorbita e dunque lo sforzo, cioè la macchina accelera.

E' disponibile anche il grafico per le locomotive E.444 prototipo (001-004), che hanno solo due combinazioni: serie e parallelo, con cinque gradi di indebolimento ciascuna (per una descrizione, vedi l'articolo sulla E.444.001 da Ingegneria ferroviaria del 1968; cfr. invece l'appendice per le E.444 di serie).

Disegno FS

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Quando si parte, non è possibile però applicare immediatamente la piena tensione ai motori, sia pure nella combinazione in serie. Infatti il motore a corrente continua ha la caratteristica di assorbire correnti che diminuiscono con l'aumentare della velocità: a macchina ancora ferma, il motore è assimilabile a un cortocircuito e ciò provocherebbe l'assorbimento di una corrente altissima. E' qui che entra in scena il reostato, cioè un insieme di resistenze interposte tra i motori e la linea di alimentazione, che saranno progressivamente escluse man mano che la velocità aumenta.

L'avviamento di una locomotiva reostatica consiste pertanto nell'inserire completamente il reostato e posizionare i motori in configurazione "serie": la locomotiva assorbe una corrente sì elevata, ma limitata dal reostato (che dissipa in calore l'energia in eccesso); man mano che la locomotiva prende velocità, la corrente comincia a scendere; il reostato viene quindi gradualmente escluso, cioè la sua resistenza viene via via ridotta; ad ogni esclusione la corrente risale un poco, per poi riprendere a scendere, mentre la locomotiva accelera.

Nelle locomotive più vecchie - quelle con il maniglione di comando, come l'E.636 - l'esclusione del reostato è fatta a mano dal macchinista; in quelle più moderne, come E.444 ed E.656, a ciò provvede un sistema automatico, che avanza di una posizione ogni volta che la corrente assorbita scende sotto un prefissato valore.


Una volta escluso tutto il reostato, si raggiunge una condizione di equilibrio: infatti aumentando la velocità, diminuisce la corrente assorbita e quindi la forza di trazione esercitata dalla locomotiva, fino a che la marcia si stabilizza: si è raggiunta la prima velocità economica, che sarà più bassa per un treno pesante e in salita - cioè che richiede una maggiore forza di trazione - e più alta per uno leggero e in piano (questa, per inciso, è una sensibile differenza rispetto alle macchine trifasi, dove la velocità di equilibrio, qui detta "di sincronismo", è costante, indipendente dalla forza erogata).

A questo punto si può procedere con i vari gradini di indebolimento di campo, guadagnando velocità; ottenuto il massimo indebolimento, si può passare alla combinazione successiva: si ritorna a pieno campo, si reinserisce tutto il reostato e la procedura riprende, tenendo presente che più la velocità attuale è prossima a quella di equilibrio della combinazione successiva, meno tempo è necessario per escludere tutto il reostato. Va infatti detto che, dato che il reostato dissipa energia in calore, il suo uso deve essere assolutamente limitato al minor tempo possibile, pena il danneggiamento e la messa fuori uso della locomotiva: questo è il vero elemento di delicatezza delle locomotive elettriche tradizionali, che è peraltro pienamente compensato dalla grande semplicità costruttiva: è infatti noto che ad esempio le E.636, interamente basate su questa impostazione, hanno mantenuto per lungo tempo il primato di locomotiva più robusta, con un indice di guasto di appena 6-7 richieste di riserva (cioè richieste di una macchina sostitutiva) per milione di km percorsi, contro le oltre 12 delle macchine delle generazioni successive.

Progressione di guida di una locomotiva E.656 dalla partenza alla marcia alla massima velocità

L'avviamento avviene con l'uso del reostato che fa descrivere (approssimativamente) la spezzata rossa da 0 a 1. Ad ogni esclusione di una resistenza, la corrente risale un po' (a velocità costante, cioè lungo un segmento verticale) e questo determina la caratteristica accelerazione "a strappi" delle macchine reostatiche, schematizzata in figura da un andamento a piccoli zig-zag.

Escluso del tutto il reostato, ci si trova in combinazione serie, con una corrente ancora prossima a quella massima (550 A), che prende poi a scendere, man mano che la velocità aumenta, fino al punto 2. Qui si applicano gli indebolimenti di campo, che però conviene esaminare con la seconda combinazione, dove saranno graficamente più visibili. Alla fine si passa alla serie-parallelo. Questo determina un brusco aumento della corrente, che avviene a velocità costante, cioè lungo il segmento verticale fino al punto 3.
Dal momento che la velocità è ancora troppo bassa per la caratteristica della serie-parallelo (cioè la incontrerebbe in corrispondenza di una corrente superiore a quella massima), occorre di nuovo accelerare mediante l'esclusione del reostato, con cui si guadagnano circa 10 km/h, fino al punto 4, dove si assorbono 500 A a circa 45 km/h.

Con i motori a pieno campo, la locomotiva accelera ma in misura via via minore, dal momento che la corrente assorbita diminuisce (da 4 a 5). Per continuare ad accelerare, si dà un primo grado di indebolimento (6), che fa "saltare" sulla caratteristica a tratteggio, in cui si assorbono circa 50 A in più e si può esercitare uno sforzo di 10 t anziché 8. E' ora lungo questa curva che la velocità torna a crescere.
Il procedimento viene iterato, passando per gli altri 4 gradi di indebolimento. Alla fine si può passare al parallelo. In pratica si torna prima per breve tempo al pieno campo (7). Se si permanesse in tale condizione, il treno prenderebbe a rallentare (percorrendo la curva a ritroso come indicato dalla freccia) perché a quella velocità lo sforzo minore ora esercitato non è più sufficiente per equilibrare la resistenza.
Passando al parallelo, si finisce invece nel punto 8 e il treno torna ad accelerare. In questo caso, data la velocità già sufficiente, non è necessario escludere il reostato per gradi (viene escluso rapidamente dall'automatismo della locomotiva).

E' anche possibile non dare tutti i gradi di indebolimento: ad esempio in figura si salta l'ultimo, passando direttamente al superparallelo (9). Infine, nell'ipotesi che uno sforzo di 5 t sia sufficiente a mantenere il treno a 150 km/h, si raggiunge la velocità massima con il primo grado di indebolimento del superparallelo e un assorbimento dei motori di poco meno di 200 A (pari a 800 A per l'intera locomotiva).
Ulteriori indebolimenti non sono più necessari e porterebbero la locomotiva a superare la velocità massima ammessa. Naturalmente lo sforzo necessario (e quindi la velocità di equilibrio) dipende fortemente dal carico e dalla linea (salite, discese).


Arriva l'elettronica di potenza

A metà degli anni Settanta, l'evoluzione nel campo dei componenti elettronici ha permesso di superare i due limiti intrinseci delle macchine tradizionali: il ridotto numero di velocità economiche e la presenza del reostato, che, per quello che si è descritto, non sono che due facce dello stesso problema, la regolazione della velocità. Con tre esemplari di E.444 (056, 057 e poi 005) si è sperimentato in varie fasi un sistema di regolazione del tutto diverso, che è diventato poi quello di serie a partire dalle E.633 e ALe 724, cioè intorno al 1979.

Questo nuovo sistema utilizza un frazionatore o chopper, cioè un componente elettronico che permette di dare e togliere la tensione periodicamente secondo una certa frequenza, a sua volta impostabile a piacere: l'effetto di una tensione piena erogata a frequenza variabile è quello di applicare ai motori una tensione "efficace" (cioè media), anch'essa variabile con continuità. E' proprio variando questa tensione media che si regola la velocità del motore, rendendo superflui non solo il reostato ma anche le varie combinazioni, tanto che i motori sono permanentemente collegati in parallelo fra loro, e la loro tensione di funzionamento può essere qualunque, e non più soltanto un sottomultiplo della tensione di linea.

La messa a punto delle prime macchine, al principio degli anni Ottanta, è stata lunga e laboriosa, perché la pratica è sempre più complessa degli schemi di principio, ma alla fine hanno prevalso i grandi benefici dell'elettronica: una minore soggezione alle fluttuazioni nella tensione di linea, la possibilità di impostare e mantenere automaticamente una qualunque velocità e, soprattutto, una maggiore capacità di traino; l'avviamento infatti avviene a corrente costante, e quindi a sforzo costante, senza strappi, cosa che era impossibile da ottenere con il tradizionale reostato, la cui esclusione può solo avvenire a gradini.

In questo modo, per la prima volta, le prestazioni delle locomotive a corrente continua sono diventate paragonabili a quelle delle macchine estere a corrente alternata, in cui è sempre stato più facile ottenere la regolazione della tensione, attraverso un normale trasformatore.


La prima generazione di macchine elettroniche (tutta la famiglia di E.632/633/652 e mezzi leggeri fino ad ALe 582 ed ETR.450) utilizzava ancora tradizionali motori a corrente continua. A partire da E.402 ed ETR.460 (rispettivamente anni 1988 e 1995) ci si è invece orientati verso motori trifasi asincroni, più semplici e robusti: è significativo pensare che un solo motore di E.402 B ha quasi tutta la potenza di un'intera E.424 (rispettivamente 1400 e 1500 kW continuativi), e che dai dodici motori di una E.656 si è passati ai quattro di una E.402: un vantaggio non indifferente in termini di semplificazione e dunque di affidabilità, pur con un aumento del 33% della potenza disponibile.

Naturalmente anche con l'arrivo dei motori trifasi, il nodo della regolazione della velocità - che delle vecchie macchine trifasi italiane costituiva il problema per eccellenza - è stato tutto risolto per via elettronica, anche se i dettagli esulano dall'ambito di questo racconto.

La tendenza più moderna è quella di svincolare il tipo di motore (a corrente continua o alternata) dal tipo di alimentazione, cioè dalla sua tensione e frequenza: in altre parole, l'azionamento elettronico permette di gestire qualunque combinazione tra tipo di alimentazione e tipo di motori, ottenendo comunque una regolazione della velocità fine e automatica e quindi migliori caratteristiche di trazione. Questo permette inoltre di realizzare in maniera più agevole macchine policorrenti, come le E.412 o gli ETR.500 di seconda serie, in grado di circolare sotto differenti sistemi di alimentazione, all'estero o sulle nuove linee ad alta velocità italiane, che, sia pure con una scelta abbastanza controversa (vedi un commento in proposito) saranno alimentate in corrente alternata monofase.


NUOVO Appendice - Curve caratteristiche di altre locomotive

Le richieste di alcuni lettori mi fanno pensare che non sia facilissimo reperire sul web le curve caratteristiche di varie locomotive italiane. Siccome il loro studio e confronto è particolarmente utile per capire il funzionamento dei vari sistemi di trazione, mi è parso utile includerne una raccolta. Tutte le curve, come già quelle descritte sopra, sono disponibili anche a risoluzione maggiore, utile per la stampa.

Locomotiva E.444 (tradizionale reostatica)

Il caso della E.444 è assai simile a quello della E.656 già dettagliatamente descritto sopra. Anzi, in un certo senso è persino più facile, perché i motori sono soltanto 4 e le combinazioni solo due: serie e parallelo. Ciascuna combinazione ha 5 gradini di indebolimento di campo, come le prime due combinazioni nella E.656. Quindi le velocità economiche possibili sono 12 (2x5 più le due combinazioni a pieno campo). Notiamo però che la serie a pieno campo, anche con gli sforzi più elevati, non scende mai sotto i 45-50 km/h (con le E.656 vediamo invece che la serie parte già da appena 20 km/h). Questo significa che la E.444 non è in grado di mantenere stabilmente una velocità più bassa, ad esempio i classici 30 km/h con cui si percorrono gli scali delle principali stazioni. Velocità inferiori a quella della serie possono essere ottenute soltanto con continue inserzioni e disinserzioni dei motori, e dunque costante sollecitazione del reostato. La scomodità e complessità di tale comportamento può essere verificata anche dal profano, grazie al ben noto simulatore di guida delle E.444. Peraltro questa scelta era consona al tipo di servizi rapidi a cui dovevano essere destinate le E.444 (che poi, nei loro quasi 40 anni di esercizio, sono finite con il fare un po' di tutto, dimostrando una flessibilità ben superiore a quella "teorica").

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Locomotiva E.633 (elettronica, per treni merci)

Con una locomotiva elettronica il diagramma cambia completamente forma e diventa anche assai più "semplice". Il significato degli assi è rimasto uguale, a parte che la forza ora è correttamente indicata in kilonewton, anziché in kilogrammi (300 kN sono circa 30'000 kg), ma invece di avere tante curve, ve ne è di fatto soltanto una, che poi risulta "duplicata" in tre, a seconda della corrente massima che si ammette, e dunque della potenza erogata dalla locomotiva.

Vediamo prima di tutto il più importante vantaggio della regolazione elettronica, di cui abbiamo già fatto cenno nel testo: l'avviamento a forza di trazione costante, rappresentato dai tre tratti orizzontali. La differenza tra i tre tratti è data dalla corrente massima: all'avviamento, cioè per brevi periodi, si può accettare una corrente di 1100 A (punto 1) sviluppando di conseguenza il massimo della forza, mentre, come dice la parola stessa, la macchina è in grado di sopportare 850 A per un'ora (punto 4). I 750 A del punto 6 possono essere invece sopportati per un tempo lungo a piacere. E' anche importante leggere la velocità massima fino alla quale la forza si mantiene costante, perché essa determina fino a quando la locomotiva riesce ad accelerare al massimo. La E.633 può sviluppare la forza massima fino a 52 km/h in avviamento e fino a 85 km/h in regime continuativo.

Le tratte 4-5 e 6-7 sono a corrente costante (rispettivamente 850 e 750 A): quella che cambia è la percentuale di eccitazione, cioè l'indebolimento di campo, già visto per la E.656. Nelle E.633 anche tale percentuale è variabile con continuità, dal 100 al 33%, per mezzo di un apposito chopper ausiliario. Ad esempio il punto 5 ha eccitazione del 60% (cioè indebolimento del 40%). Nell'avviamento, il tratto 1-2 passa dalla tensione ridotta di 1400 V alla piena tensione di 2000 V, mentre il successivo 2-5 abbassa la corrente fino al valore orario, "congiungendosi" quindi con la corrispondente linea. Infine il punto 3 è quello in cui si raggiunge la velocità massima, che per la E.633 è fissata in 130 km/h.

Un'altra caratteristica fondamentale della E.633 è la frenatura elettrica, cioè la possibilità di utilizzare il motore "al contrario", come generatore, esercitando una forza frenante, che ha la forma visualizzata e resta valida fin tanto che la macchina non scende sotto i 50 km/h. A differenza del vecchio sistema trifase, in cui era molto semplice immettere in linea l'energia così generata, la E.633, al pari di tutte le altre macchine a corrente continua dotate di frenatura elettrica, dissipa in calore l'energia prodotta, attraverso un reostato posto sul tetto.

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Confronto locomotive E.632 - E.633 (differente rapporto di trasmissione)

Con le locomotive a vapore (e anche quelle trifasi, che ne condividevano la trasmissione a bielle), era prassi comune distinguere tra locomotive a ruote grandi, più veloci e destinate al servizio passeggeri, e locomotive a ruote piccole, più lente, ma in grado di sviluppare una forza maggiore, destinate al servizio merci.

Nelle locomotive elettriche a carrelli, il moto viene trasmesso dal motore alle ruote attraverso una coppia di ingranaggi: è allora possibile ottenere il medesimo effetto di ruota grande/piccola semplicemente fissando il rapporto di trasmissione di tali ingranaggi, cioè il rapporto tra il numero di denti dell'uno e dell'altro. Questo è stato fatto fin dalle E.636 (alcune unità con rapporto "lungo" in grado di raggiungere i 120 km/h) e poi con le E.645 ed E.646, in cui il differente rapporto aveva dato luogo a due classificazioni differenti. Analoga scelta è stata fatta con le E.632, che sono la versione con rapporto lungo (e dunque più veloci) delle E.633.

I due grafici sovrapposti mostrano la medesima struttura ma in proporzioni "distorte": la E.632 ha forze inferiori per tutte e tre le curve (avviamento, oraria e continuativa) ma è in grado di raggiungere i 160 km/h. L'analisi delle tabelle numeriche (vedi immagine ingrandita) mostra che ciascun punto 1-7 assorbe la stessa corrente nelle due versioni e comporta lo stesso numero di giri del motore, ma produce velocità e forze differenti, proprio a causa del diverso rapporto, come due biciclette dotate anch'esse di rapporti diversi.

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Treno di elettromotrici TAF (ALe 426/506) (azionamento elettronico con motori trifase)

La forma delle curve del TAF è del tutto simile a quella che abbiamo appena visto per le E.633. Il "regime massimo" è assimilabile all'avviamento delle E.633. Anche qui è disponibile una frenatura elettrica, che resta attiva fino a una velocità molto bassa.

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Locomotiva D.445 (diesel elettrica)

Anche se questo articolo si occupa di locomotive elettriche, è interessante dare un'occhiata a quello che succede con la trazione Diesel. Esaminiamo dapprima una locomotiva diesel-elettrica: semplificando al massimo, possiamo dire che si tratta di una normale locomotiva elettrica, mossa cioè da motori elettrici, in cui la corrente non è prelevata dalla linea aerea, ma viene prodotta a bordo, con un generatore mosso da un motore diesel. La curva caratteristica si occupa solo della parte "elettrica" della macchina e quindi assomiglia ancora una volta alle precedenti, con la forza di trazione che diminuisce al crescere della velocità.

Nel grafico è stata sovrapposta anche la forza in funzione della corrente (rossa), che evidenzia un andamento lineare per buona parte del campo.

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Automotrice Diesel ALn 663 (cambio meccanico)

Infine consideriamo un'automotrice, dotata di un semplice cambio meccanico a 5 marce, quasi al pari di un'automobile. Il grafico inferiore ha ancora una volta i medesimi assi; in questo caso le curve sono individuate dalle marce: ciascuna marcia sviluppa un certo sforzo di trazione, data la velocità, che è ovviamente legata al numero di giri del motore, da 1000 a 1850 (con il massimo della forza raggiunto, in ciascuna marcia, a 1400 giri).

Dal momento che l'automotrice deve trainare soltanto se stessa (non sono previsti rimorchi per le ALn 663), è possibile tracciare sul medesimo grafico anche la resistenza al moto (Rt). Notiamo che anche alla velocità di 130 km/h, la resistenza è ancora inferiore alla forza sviluppabile in quinta marcia: significa che l'automotrice dispone ancora di una (piccola) forza residua, che le permetterebbe di accelerare oltre la velocità massima ammessa, naturalmente nel caso più favorevole di tracciato in piano e in rettilineo.

Il grafico superiore è sostanzialmente simile ma, grazie al fatto che l'automotrice traina solo se stessa, traduce la forza di trazione in pendenza massima superabile. L'effetto della pendenza è ovviamente molto significativo: su una linea di montagna in rampa del 25‰, ad esempio, non è già più possibile superare i 65 km/h (raggiunti in terza marcia). Dal momento che difficilmente in ferrovia si eccede il 35‰, i valori di pendenza delle prime due marce sono da intendersi in senso teorico: significa che a pendenze inferiori, l'automotrice dispone ancora di una significativa accelerazione residua.

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Questo articolo è stato elaborato sulla base dei preziosi simulatori di guida di Paolo Sbaccheri e dei loro accurati manuali d'uso (vedi il sito http://signa.texnet.it/sbapao/), nonché di uno scritto didattico di Simone Del Vigo. Ad entrambi vanno i miei ringraziamenti.

I diagrammi delle curve caratteristiche sono tratti da due preziosi manuali di settore:

nonché dalla rivista iTreni, ETR, Salò (numeri vari).


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