Scritto a marzo 2010
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L'intero settore delle costruzioni ferroviarie, a livello italiano ed europeo, è stato oggetto di una profonda ristrutturazione nell'ultimo ventennio, che ha portato a un drastico ridimensionamento del numero di costruttori, passati quasi tutti sotto il controllo straniero. Vale la pena di fissare alcuni nomi celebri di oggi e di ieri, almeno per sommi capi.
Oggi la scena è dominata da tre gruppi multinazionali:
A fianco di questi grandi gruppi industriali si registra un numero relativamente basso di "costruttori nazionali", tra i quali possiamo citare:
In Italia, oltre agli stabilimenti a controllo estero citati sopra (Savigliano/Colleferro e Vado Ligure) gli unici costruttori "sopravvissuti" si riducono a:
Nulla più esiste di tanti altri nomi che ancora oggi si possono leggere sulle targhe delle locomotive e degli altri rotabili italiani: Badoni di Lecco, Greco di Reggio Emilia, OM (Officine Meccaniche di Milano), Officine Meccaniche "Reggiane" di Reggio Emilia, Italtrafo di Bologna, Sofer di Pozzuoli (NA) e altre ancora.
Se il lettore è disorientato da tutte queste fusioni aziendali e, soprattutto, dalla scomparsa di tante aziende un tempo celebri, va detto che esistono alcune peculiarità proprie delle costruzioni ferroviarie, che hanno enfatizzato gli aspetti di crisi già tipici di tutte le industrie negli ultimi anni. Uno dei limiti più rilevanti è senza dubbio la costruzione ancora marcatamente artigianale, dovuta ai piccoli numeri in gioco, nemmeno lontanamente comparabili non solo con il mondo automobilistico, ma anche con quello degli autobus. Anche le produzioni più cospicue, come gli stessi TSR, non vanno oltre qualche centinaio di unità: i 78 TSR complessivi corrispondono a 336 carrozze totali. Le E.402/E.403, ultime locomotive di FS, sono appena 149, suddivise in ben 4 serie costruttive (5 prototipi, 40 E.402A, 80 E.402B, 24 E.403). L'abbandonato RegioStar di AnsaldoBreda sarebbe stato da costruire in appena 6 unità! In questo contesto costituiscono due eccezioni degne di nota, da un lato, le E.464, che hanno raggiunto una produzione superiore a qualsiasi altra locomotiva italiana (538 unità totali ordinate ad oggi), dall'altro la Stadler, che, con abilità produttiva e manageriale, ha saputo fare delle costruzioni in piccola serie proprio il suo punto di forza.
Non va dimenticato che uno degli aspetti negativi più citati riguardo all'assetto industriale prima delle ultime ristrutturazioni era proprio la frammentarietà degli ordini, che, con l'ovvio intento di "accontentare" un po' tutti, venivano frazionati tra innumerevoli costruttori. Le pur numerose locomotive E.656 (461 esemplari), ad esempio, nel periodo 1975-1989, sono state costruite da 5 diversi fabbricanti per la parte meccanica e ben 8 per la parte elettrica, con una media rispettivamente di 92 e 58 esemplari per fabbricante, e con il solo TIBB che compare sia per la parte elettrica, sia per quella meccanica.
Costruttori delle locomotive FS E.656 (1975-1989) Tra parentesi sono indicati gli anni di attività dei singoli costruttori e le loro principali trasformazioni societarie. |
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Parte meccanica | |
Costruttore | N° unità |
Officine di Casaralta, Bologna (1960-1989) | 64 |
Officine Meccaniche Casertane, Caserta (1976-1994, poi Fiore/Firema) | 124 |
Officine Meccaniche Italiane "Reggiane", Reggio Emilia (1910-1988) | 55 |
Sofer, Officine Ferroviarie, Pozzuoli (dal 1968, poi assorbita dalle imprese controllate da Finmeccanica) | 180 |
TIBB, Tecnomasio Italiano Brown Boveri, Milano/Vado Ligure (1912-1988 poi confluito in ABB, ora Bombardier) | 38 |
Totale | 461 |
Media per costruttore | 92 |
Parte elettrica | |
Ansaldo, Genova (dal 1854, con varie ragioni sociali; dal 1966 come Asgen; poi 1977-1980 Raggruppamento Ansaldo, Genova; dal 1980: confluita con Italtrafo in Ansaldo Trasporti, Napoli) | 187 |
Asgen, Ansaldo S. Giorgio, Genova (1966-1977, già Ansaldo e CGE, poi confluita nel raggruppamento Ansaldo) | 22 |
Italtrafo, Napoli (1972-1980, ex Ocren e altri, poi confluito in Ansaldo) | 106 |
Metalmeccanica Lucana, Napoli (dal 1976) | 52 |
Ercole Marelli, Milano (1934-1984, poi confluito in Firema Trasporti) | 27 |
Mater, Bresso, Milano (1988-1989) | 4 |
Retam Trazione, Bresso, Milano (1981-1986) | 25 |
TIBB, Tecnomasio Italiano Brown Boveri, Milano/Vado Ligure (1912-1988 poi confluito in ABB, ora Bombardier) | 38 |
Totale | 461 |
Media per costruttore | 58 |
Altri punti di debolezza riguardano la forte dipendenza dei costruttori dalle scelte strategiche e di budget del monopolista nazionale Trenitalia, che rappresenta inevitabilmente il cliente principale: al di fuori di LeNORD, pressoché nessun'altra ferrovia regionale è in grado di garantire ordini superiori alla decina di unità o poco più e a febbraio 2010 si registra il caso limite della Ferrovia Genova Casella, che ha aggiudicato ad AnsaldoBreda la gara per un treno.
Infine vi è il problema della incostanza degli ordini, non al singolo costruttore, ma proprio in linea generale: se ad esempio per quasi 20 anni in Italia non si sono praticamente costruite carrozze (dalle ultime Medie Distanze di fine anni '80 ai Vivalto del 2005), è evidente che un tale intervallo superi facilmente la capacità di sopravvivenza di qualunque costruttore.
Abbiamo detto che il TSR non è, purtroppo, il migliore dei treni possibili. Il lettore potrebbe domandarsi quali siano allora le caratteristiche di un treno "bello". Certo è difficile capirlo, soprattutto sulla carta. Ci sono però dei problemi strettamente italiani che rendono oggettivamente più complesso fare bei treni da noi, segnatamente due:
I nostri marciapiedi "alti" sono a 600 mm dal piano del ferro (Passante, Bovisa-Saronno, stazioni ristrutturate di recente, ecc.). Quelli normali sono a 250 mm. Se si vuole avere un ingresso a raso sul marciapiede da 600 mm e con gradino relativamente piccolo su quello da 250 occorre evidentemente avere il pavimento a 600 mm (TSR, carrozze FS a piano ribassato, ecc.). In Germania i marciapiedi a 250 mm praticamente non esistono, 600 mm è la norma, ma tutte le aree delle Linee S hanno il marciapiede a circa 900 mm. Quindi tutti i veri treni suburbani (DB 420, 423 ecc.) hanno il pavimento a 900 mm. Per confronto, le Medie Distanze FS lo hanno a circa 1100. E' evidente che fare il pavimento a 900 mm è molto più facile che farlo a 600: di norma evita o rende trascurabile l'effetto su-giù del corridoio interno, con scalini o rampe, che da noi diventa invece inevitabile e che è tecnicamente più difficile da realizzare (i finestrini del Minuetto, a tre differenti altezze, insegnano...).
Quindi marciapiede a 900 mm significa treno con pavimento ad altezza costante, disposizione interna più razionale, meno complicazioni. Ma un intervento di rialzo marciapiedi richiede decenni e da noi si dà per scontato che non si andrà mai oltre il 600 mm.
Tra l'altro un treno suburbano (a un piano) dovrebbe avere anche più porte: tipicamente tre per fiancata, come ad esempio le DB 423, o addirittura quattro, come le DB 420 degli anni Settanta. Ma da noi ritorna in scena la questione dell'altezza marciapiedi: se si deve fare il su-giù per avere gli accessi a 600 mm, è quasi impossibile farci stare tre porte.
La sagoma limite ridotta interessa solo i treni a due piani, ma fa sì che, se si vuole circolare dappertutto in Italia, l'altezza del soffitto non possa eccedere i 1900 mm o poco più. E 5-10 cm di soffitto in più fanno la differenza! Di fatto da noi un treno a due piani sarà sempre "scomodo" e porrà il dilemma tra due scelte:
In Germania come hanno fatto? Hanno messo le porte internamente, ma poi le scale dal lato intercomunicanti (anziché verso il centro della carrozza): la maggior altezza permette infatti di avere il secondo piano anche sopra le porte, un'impostazione da noi impensabile.
Vi è poi un altro aspetto che mi sta particolarmente a cuore: la superficie vetrata, ovvero la domanda senza risposta: come mai da noi i finestrini sono così piccoli? E, cosa per me assolutamente inconcepibile (difatti non era mai comparsa su nessuna carrozza italiana tradizionale) come mai TAF, TSR, Vivalto e Minuetto hanno addirittura sedili senza finestrino? Il Minuetto è un prodotto Alstom. E allora come si spiega che la stessa Alstom, in Francia, costruisca treni come quello della seconda fotografia, semplicemente un altro pianeta?
Questo è l'interno del Minuetto di Trenitalia, costruito da Alstom a Savigliano, un progetto recente (2003) e interamente nuovo. Eppure i finestrini sono piccoli, bassi e, come ben si vede dall'immagine, alcuni sedili, al posto del vetro si ritrovano una bella parete. |
Anche questo treno è costruito in uno stabilimento della multinazionale Alstom ed è in servizio sulla rete "Hex" di Veolia, in Brandeburgo. Eppure, che differenza di risultato! Qui i vetri sono ampi, luminosi, quasi doppi. Addirittura, nella seconda immagine, si vede che non sono limitati nemmeno dalle bagagliere: si estendono comunque fino al soffitto. |
Anche dall'esterno si vede da differenza: nel Minuetto i finestrini occupano una porzione minoritaria della fiancata (a voler essere critici, creano anche uno sgradevole effetto estetico, dato che si trovano a tre altezze differenti). Nel treno Hex i finestrini sono tutti allineati al filo superiore e occupano la larga maggioranza della fiancata. E ribadiamo che il costruttore è lo stesso. |
E il TSR? Purtroppo, anche lui non fa eccezione a questa incomprensibile scelta costruttiva, che a onor del vero è andata diffondendosi in tutta Europa, non solo da noi. Che piacevolezza del viaggio possono provare i due passeggeri racchiusi come in castigo in quel loculo scuro? Oppure aspirare a una piacevolezza non fa più parte di ciò che è legittimo perseguire? Mah... |