Scritto ad agosto 2012
Credo non sia necessario alcun commento introduttivo: la sola lettura dell'elenco delle 17 leggi e accordi fatti in poco più di due anni dovrebbe permettere al lettore di farsi un giudizio molto chiaro su quanto lo Stato italiano navighi a vista, almeno in tema di trasporto pubblico locale. Ho pensato comunque utile aggiungere due approfondimenti che, purtroppo, non sono più riferibili all'operato del Governo precedente, quello con cui molti italiani pensavano di aver toccato il fondo. Quello in carica oggi, consumando rapidamente il credito iniziale di cui godeva presso i cittadini, sta mostrando di brancolare ancora più nella confusione e nell'incertezza, senza peraltro essere riuscito a neutralizzare le posizioni più funeste della burocrazia ministeriale, quella che della ferrovia "inutile e costosa" sembra solo sognare una sempre più completa emarginazione.
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Sarebbe necessaria ancora una legge per stanziare gli ultimi 86 milioni previsti dall'Accordo del 21 dicembre 2011, anche se molti ritengono che non verrà mai fatta e tali soldi non arriveranno proprio.
Nell'estate del 2011, poco più di un mese dopo che il referendum popolare "sulle acque" aveva abrogato l'art. 23-bis del DL 112/2008 (L 133/2008), il Governo riscrive la normativa sui servizi locali di rilevanza economica, incluso il trasporto pubblico locale. Come foglia di fico rispetto agli esiti referendari, la nuova normativa "non si applica alle acque": vedremo fra un momento che la Corte Costituzionale considererà questa esclusione del tutto insufficiente a garantire il rispetto del referendum, e spazzerà via l'intera norma.
Diamo quindi qualche cenno alla normativa, scritta negli articoli 3-bis e 4 del DL 138/2011, modificato quattro volte(!) tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012, prima di essere cancellato dalla Corte a luglio 2012.
E' interessante notare che la disciplina in questione non solo prevedeva l'obbligo di messa a gara dei servizi, ma questo diventava l'opzione di seconda scelta. La prima opzione era infatti la liberalizzazione completa.
Più precisamente gli enti locali, dopo aver scelto quali dovessero essere gli obblighi del servizio pubblico, e prima di affidare la gestione del servizio, dovevano verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
In base a tale verifica, erano possibili due scelte:
oppure, come seconda scelta:
Per sancire l'esito di tale verifica, l'ente doveva adottare una delibera quadro che illustrasse l'istruttoria compiuta ed evidenziasse, per i settori sottratti alla liberalizzazione integrale, le ragioni della decisione e i benefici per la comunità derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio. In assenza della delibera quadro non era possibile procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva, cioè fare le gare "normali".
Gli enti territoriali con popolazione superiore a 10.000 abitanti, prima di adottare la delibera quadro, dovevano anche richiedere il parere obbligatorio dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Tradotto in parole estremamente semplici, la legge diceva che in prima battuta tutti dovevano liberalizzare tutto (quella che qui si chiama "liberalizzazione" e che noi abbiamo solitamente chiamato "concorrenza NEL mercato").
Se uno non voleva liberalizzare, ma "soltanto" fare le gare (la nostra "concorrenza PER il mercato", qui chiamata "diritti di esclusiva"), doveva prima fare una delibera quadro in cui giustificasse la sua scelta. Ovviamente l'affidamento diretto senza gara - cioè la situazione attuale per tutte le ferrovie - non era nemmeno presa in considerazione (benché il regolamento europeo 1370/2007 continui a permetterla proprio per le ferrovie).
Queste norme prevalevano sulle relative discipline di settore con esse incompatibili. Ne conseguiva che, per il trasporto pubblico locale, esse sostituivano quanto disposto dall'art. 18, DLgs. 422/1997, che, come noto, prevede solo la concorrenza PER il mercato.
Fino alla fine del 2011, le ferrovie erano ancora esplicitamente escluse. Con le modifiche apportate dal DL 1/2012 (art. 25 comma 1, punto b 9.1) venivano inclusi anche i servizi ferroviari regionali. Venivano poi fatti salvi, "fino alla scadenza naturale dei primi sei anni di validità" i contratti di servizio ferroviari sottoscritti in conformità all'articolo 5 del regolamento CE n. 1370/2007 e all'articolo 61 della L 99/2009. Cioè di fatto si tenevano buoni i contratti Trenitalia a catalogo del 2009 ma solo per i primi sei anni, fino al 2014, mentre se ne impediva il rinnovo per i successivi sei, disposto a suo tempo dalla L 33/2009, la seconda del pacchetto del monopolista).
Molti esperti del settore convenivano che questa norma lasciasse parecchi dubbi, in senso generale e soprattutto se applicata al trasporto pubblico. Anche se i dettagli avrebbero dovuto essere chiariti dal regolamento attuativo (mai approvato), di fatto per le ferrovie la norma invitava a "tirar fuori" dal normale contratto sussidiato i prodotti migliori, come gli interregionali o le linee suburbane più affollate. In un'applicazione rigorosa della legge, questi treni, che verosimilmente si sostengono da soli (senza sussidio), avrebbero dovuto essere buttati sul mercato, con il probabile risultato di andare a pagare lo stesso sussidio per tutto il resto, cioè le parti commercialmente meno appetibili, perdendo la naturale compensazione tra treni poveri e treni ricchi. E richiedendo una capacità di governance da parte delle Regioni, per garantire il coordinamento dei servizi in presenza di più gestori, ben superiore alla (modesta) abilità mostrata mediamente in questi dieci anni. Non sembrava proprio un bel risultato.
I maligni sostenevano anche che era stato inventato un ottimo business per le società di consulenza, che avrebbero dovuto fare decine se non centinaia di "delibere quadro" (il tema interessava tutti i servizi locali di Comuni, Province e Regioni, escluso il servizio idrico, in coerenza con il referendum del 2011, e pochi altri).
Con sentenza 199 del 20/7/2012, la Corte Costituzionale ha totalmente cancellato l'art. 4 del DL 138/2011, ritenendo che era del tutto incompatibile con la volontà popolare espressa dal referendum. Ad evitare equivoci, la Corte ha espressamente precisato che era cancellato sia il testo base, sia tutte le successive modifiche.
Quest'ultima precisazione chiarisce che è stato cancellato anche l'obbligo delle gare per le ferrovie (modifica apportata dal DL 1/2012) e dunque anche il divieto di rinnovare i contratti ferroviari oltre il 2014: di fatto, come singolare effetto collaterale, Trenitalia ne esce vincente, "riguadagnando" i suoi contratti assicurati fino al 2021 (6+6 anni dal 2009) e facendo tramontare ancora una volta il "pericolo" di una messa a gara reale dei propri servizi.
Più in generale, vari esperti concordano nel ritenere che la Corte ha preso atto dell'irrealizzabilità di una norma "universale", che avesse l'ambizione di gestire i settori più disparati, tutti allo stesso modo. Tutto sommato, l'impostazione di una legge come il DLgs 422/1997, specifica di un settore, appare assai più ragionevole. E pensare che allo stesso 422 si rimproverava di trattare congiuntamente ferrovie e autolinee!
Siccome so che i lettori si aspettano una chiave di lettura il più possibile chiara su un tema delicato e controverso come le gare ferroviarie, provo a darne un riassunto molto fermo, dal mio personale punto di vista: la liberalizzazione completa (opzione di prima scelta della legge) per il trasporto locale era fuorviante e sostanzialmente irrealizzabile, specie se la si fosse voluta applicare brutalmente a "pezzi" del servizio attuale così come lo conosciamo.
Questo non vuol dire che non possano esistere specifiche nicchie per servizi non sussidiati anche a scala regionale: aver fatto di tutto per portare al fallimento Arenaways rimane un fatto assolutamente vergognoso; cosa di cui peraltro si è convinta anche l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che, dopo lunga attesa, con provvedimento 23370 del 25 luglio 2012 ha comminato una sanzione di 100.000 Euro a RFI e 200.000 a Trenitalia (testo completo).
In quanto alla messa a gara dei servizi ferroviari (opzione di seconda scelta della legge), essa appare un'operazione molto complessa per numerosi motivi: "monopolio naturale" della ferrovia, aspetti protezionistici dell'attuale monopolista, barriera all'ingresso costituita dal materiale rotabile, ecc. Pertanto richiede una fortissima determinazione politica, tanto è vero che, nel periodo in cui le gare ferroviarie sono state obbligatorie in Italia (dal 1997 al 2009), si sono concluse solo tre gare, tutte affidate a Trenitalia o suo consorzio.
A tutto questo si è aggiunta l'attuale situazione di "precariato ferroviario": possiamo dire con assoluta sicurezza che in assenza di fonti di finanziamento certe e costanti, la messa a gara di un servizio ferroviario è del tutto utopica, persino nella versione di una gara "farlocca" assegnata all'incumbent, cioè a Trenitalia. A giugno 2012, poco prima della sentenza della Corte, pare che lo stesso Governo stesse prendendo consapevolezza (alla buon'ora...) che precariato e gare erano incompatibili. Sembra tuttavia che di fronte alla scelta tra puntare nei fatti sulla liberalizzazione e tentare di tagliare ancora un po' di soldi, abbia optato per i 1000 milioni di taglio della spending review (provvedimento numero 15 nell'elenco iniziale). Una scelta che si commenta da sé.
E dunque che cosa servirebbe? E' ovvio: una visione strategica, diametralmente opposta al "precariato". L'abbandono delle leggi omnicomprensive e della legislazione per decreto-legge. La scrittura di una norma di settore che detti regole chiare, non puramente utopiche e non destinate a cambiare tre mesi dopo.
Nel merito, sarebbe indispensabile uno "zoccolo" di risorse certe e costanti per le ferrovie. In questo la fiscalizzazione può essere uno strumento, anche se ovviamente non è l'obiettivo. E se lo zoccolo di risorse statali è inferiore al valore attuale dei contratti Trenitalia, deve esistere un accordo esplicito tra Stato e Regioni che definisca chi paga la differenza, senza far finta che possa essere magicamente recuperata da un irrealizzabile efficientamento (vedi sotto).
In caso contrario, i soldi mancanti non potranno che dar luogo a tagli del servizio, via via estesi dalle linee minori alle maggiori. E soprattutto impediranno qualsiasi progetto di sviluppo della ferrovia, che dovrebbe essere il vero obiettivo strategico.
Risorse stabili e regole chiare possono essere la premessa per seri esperimenti di gare ferroviarie (concorrenza PER il mercato), non applicati a intere regioni - si tornerebbe nell'utopia! - ma per fasi, a lotti di dimensioni eque: una volta i tecnici delle Ferrovie Tedesche mi parlarono di una dimensione efficiente tra i 2 e i 4 milioni di trenikm/anno, il che mi pare ragionevole (sono circa 2-3 linee di media lunghezza con frequenza di 30 minuti).
Infine, occorrerebbe un'indicazione politica coerente da parte del proprietario nei confronti della propria azienda, cioè del Ministero verso FS, che dica chiaro e tondo che, se le gare sono la scelta strategica del Governo, comportamenti di evidente ostruzionismo (come quello già sanzionato nel caso di Arenaways di concorrenza nel mercato) sono semplicemente inaccettabili in un paese normale.
In ogni caso, benché le gare così come immaginate dal DL 138 non fossero né "la" soluzione, né una cosa realisticamente fattibile in assenza di risorse certe, la cancellazione dell'obbligo - il sedicesimo provvedimento normativo dal 2010! - aggiunge ulteriore entropia al settore: l'ultima cosa di cui c'era bisogno.
Trenitalia:
Altre ferrovie regionali:
Mentre le normali ferrovie regionali Trenitalia vivevano l'ormai consueto clima di precariato e di tagli, il Governo, con il DL 83/2012, trovava:
Nella legge di conversione del DL 95/2012, quello della Spending review¸ è stato aggiunto un articolo 16-bis che fa tutt'altro che ben sperare nel futuro della ferrovia italiana.
Art. 16-bis. Patto Governo-Regioni per il trasporto pubblico locale 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi, ai sensi dell'articolo 8 della legge 28 agosto 1997, n. 281, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano entro il 31 ottobre 2012, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del fondo di cui agli articoli 21, comma 3, del decreto legge n. 98 del 2011 e 30, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011 di cui al comma 1. I criteri sono, in particolare, finalizzati ad incentivare le regioni e gli enti locali a razionalizzare ed efficientare la programmazione e la gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale, anche ferroviario, mediante:
2. Le risorse del fondo di cui agli articoli 21, comma 3, del decreto legge n. 98 del 2011 e 30, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, e le risorse derivanti dalla compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio prevista dagli articoli 1, commi 295 - 297, della legge n. 244 del 2007, una volta definiti i criteri di cui al comma 1, non possono essere destinate a finalità diverse da quelle del finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario. |
In sostanza l'articolo propone di definire dei nuovi criteri di riparto per il Fondo TPL di 1200 milioni (riferimento all'art. 21, DL 98/2011 e art. 30 DL 201/2011). La definizione di un riparto può essere fatta in base a valori esprimibili come percentuali - ad esempio gli abitanti di una regione rispetto al totale - e in tal caso è relativamente facile. Ma usare indicatori più complessi, come quelli proposti dalla legge, fa ricadere in una vera e propria analisi multicriteria, tutt'altro che banale. Il riparto, in fin dei conti, è una percentuale: come faccio ad esempio a tradurre in percentuale - che abbia un qualche significato! - "la definizione di livelli occupazionali appropriati"?
Al di là però di questo problema metodologico, ci sono altre due considerazioni importanti (e preoccupanti) nel merito.
La prima è che i criteri sembrano presupporre l'esistenza di valanghe di servizi "in eccesso" e dunque "da ridurre": servizi che, almeno per quel che riguarda la ferrovia, ci riesce davvero difficile immaginare. I criteri enfatizzano per l'ennesima volta l'efficientamento e la scelta di un'offerta "economica", e questo costituisce un invito, nemmeno troppo implicito, a chiudere il maggior numero possibile di ferrovie, ignorando totalmente i motivi per cui la ferrovia costa "troppo" ed è usata troppo poco, in primo luogo un decennio di totale assenza di scelte progettuali, esclusa la Lombardia e pochi altri.
Tenendo conto del background ministeriale e del trend già visto in Piemonte e Abruzzo ma non solo, un testo simile può significare la definitiva emarginazione della ferrovia italiana.
Peraltro è assai probabile che anche alla stessa dirigenza FS stia benissimo così: caso del tutto singolare di un (sedicente) imprenditore che sembra mettere in atto ogni strategia per ridurre il proprio mercato e ridimensionare la propria azienda, sia dal punto di vista del servizio, sia dell'infrastruttura. Del resto proprio l'infrastruttura, da un giorno all'altro, in Piemonte si è ridotta di un quarto, senza che nessuno abbia battuto ciglio. Anzi, probabilmente con un implicito plauso al risultato raggiunto.
La seconda considerazione è sugli effetti del riparto, che riapre tutti i dubbi e i problemi irrisolti dei 425 milioni della "premialità" del 2011, che aveva generato un altissimo livello di conflitto tra le Regioni. Infatti i criteri così come sono scritti "tolgono ai poveri per dare ai ricchi", facendo una gran confusione con la natura intrinseca di servizio sussidiato che è propria del trasporto pubblico. E' ovviamente giusto cercare di ottenere buoni risultati spendendo il meno possibile, proprio perché si tratta di soldi pubblici, ma si deve mettere in conto che si spenderà inevitabilmente di più là dove i viaggiatori sono di meno. E soprattutto l'ipotetica chiusura dei servizi "in eccesso" farà risparmiare risorse del tutto trascurabili rispetto a quelle che sarebbero le necessità "dei servizi a domanda elevata" (più dettagli). A meno, beninteso, che non si voglia applicare la norma in una misura tale da far letteralmente colare a picco il servizio di intere Regioni, soprattutto al Sud.
Tutto questo può anche essere favorevole alla Lombardia e alle altre Regioni "forti", ma se (come si è visto con la premialità) la cosa diventa praticamente irrealizzabile per i conflitti che solleva, e incaglia l'applicazione della legge fino a dover scendere a un compromesso vicinissimo allo status quo, il risultato resta comunque davvero modesto.