Come mai la ferrovia viene oggi divisa in gestori delle infrastrutture e in imprese ferroviarie? Che cosa fanno gli uni e gli altri? Perché prima non era necessario e ora sì?
Andiamo con ordine, e consideriamo qualche esempio non ferroviario. Le strade, cioè l'infrastruttura, sono di proprietà di vari enti: i Comuni, le Province, l'ANAS, oppure sono in concessione alle Società che gestiscono la rete autostradale. A nessuno verrebbe in mente di chiedere che le automobili siano tutte di proprietà dello stesso ente che gestisce la strada. Anzi: il vantaggio dell'automobile è proprio che può andare dappertutto, indipendentemente dalla proprietà della strada che percorre.
Nel traffico aereo o navale, la situazione è diversa nelle premesse ma simile nel risultato: aerei e navi viaggiano "dove vogliono" (cioè in aria e in mare), ma hanno bisogno di infrastrutture quando si fermano: i porti e gli aeroporti. In queste situazioni, è agevole pensare a più società che possiedano e facciano andare gli aerei (o le navi), e che utilizzino di volta in volta gli scali che qualcun altro possiede e gestisce. Il tutto è vincolato da norme comuni, emanate da un ente autonomo, come IATA e ICAO nel traffico aereo, che tutti si impegnano a rispettare.
Con la ferrovia, la situazione è piuttosto diversa. Prima di tutto, l'infrastruttura è continua: un treno ha sempre bisogno dei binari. Secondariamente il legame tra infrastruttura e rotabili è profondo e articolato: sagoma limite, profilo delle rotaie, tensione di alimentazione, segnalamento e sua ripetizione in macchina... sono tutte cose che condizionano la reciproca compatibilità.
Infine, storicamente, la ferrovia si è sempre evoluta considerando insieme infrastruttura ed esercizio; nell'Ottocento, infatti, prima della nazionalizzazione delle ferrovie, vigeva il meccanismo della concessione; lo Stato concedeva a qualcuno il diritto a costruire una ferrovia: gli caricava cioè l'onere di realizzarne l'infrastruttura, lasciandogli il beneficio di godere dei proventi che avrebbe tratto dalla circolazione dei treni. Naturalmente la cosa funzionava solo se il soggetto su cui porre oneri e benefici era lo stesso (in realtà la cosa non funzionò, perché nessuna rete ferroviaria riuscì mai a reggersi integralmente con i propri proventi – e infatti si passò poi alle ferrovie statali – ma è lo stesso principio che, in teoria, continua a stare alla base delle ferrovie "private", dette appunto ferrovie concesse).
Naturalmente l'esistenza di un soggetto unico per ciascuna rete non ha mai impedito l'esercizio di treni che viaggiassero attraverso più reti, per esempio i treni internazionali, che, anzi, erano in passato ancor più fiorenti e diffusi di quanto non siano ora (cfr. l'articolo sui treni internazionali).
E' però importante rendersi conto che questa era una delle possibilità, e che ne esisteva un'altra – appunto la separazione della ferrovia in due soggetti distinti – che si sarebbe potuta applicare, e si applica in Italia dal 2001.
Una volta deciso che vi siano due soggetti, bisogna stabilire le proprietà e le competenze di ciascuno.
Sono del gestore dell'infrastruttura:
Sono sempre del gestore dell'infrastruttura, ma dati in affitto all'impresa ferroviaria:
Sono dell'impresa ferroviaria:
Sono del gestore dell'infrastruttura o dell'impresa a fasi alterne, nel senso che hanno oscillato dall'uno all'altra (oggi sono del gestore dell'infrastruttura):
Sono dell'impresa ferroviaria nel caso italiano, ma la cosa è dibattuta:
A questo punto è facile capire che cosa fa il gestore dell'infrastruttura: egli vende tracce alle imprese ferroviarie; le imprese a loro volta usano queste tracce per far circolare i propri treni. Per completezza, diciamo che egli vende anche alcuni servizi accessori: per esempio la possibilità di far sostare il treno un certo tempo prima della partenza e dopo l'arrivo, oppure il fatto che i viaggiatori vengano informati sulla situazione del treno stesso.
Questa è l'impostazione "commerciale" del rapporto tra gestore e imprese, di cui si dirà meglio al paragrafo seguente. In realtà, parlando di cose più concrete, prima di tutto il gestore dell'infrastruttura regola la circolazione, cioè:
A questo punto viene da dire: ma l'impresa ferroviaria che cosa fa? Diciamo che, tornando all'esempio iniziale, fa qualcosa di molto simile all'automobilista: utilizza le strade (i binari) che ha a disposizione, rispettando le regole del Codice della Strada (i Regolamenti) per raggiungere la propria destinazione (la destinazione dei passeggeri che ha scelto di trasportare), servendosi di un'automobile (un treno) di sua proprietà.
La liberalizzazione: treni diversi sulla stessa rete
Quali sono i vantaggi di questa impostazione? Prima di tutto, una suddivisione di compiti tra due soggetti di norma produce una situazione più chiara, in cui le responsabilità di ciascuno sono meglio delineate. Ma il vero vantaggio è un altro: a questo punto più imprese ferroviarie possono effettuare servizi sulla stessa rete.
E' quella che si chiama la liberalizzazione delle ferrovie: liberalizzazione che, va sottolineato, riguarda i servizi, non l'infrastruttura. L'infrastruttura, che fisicamente è "unica", resta di proprietà e sotto la gestione di un unico soggetto, che pertanto, in buona approssimazione, continua ad agire come monopolista, al pari che in passato. Su questa infrastruttura, però, possono transitare treni di soggetti diversi:
La liberalizzazione – altra cosa da sottolineare – non è solo sinonimo di concorrenza; la concorrenza tra più imprese (quella che tecnicamente si chiama "concorrenza nel mercato") è una delle possibilità che offre, ma non l'unica. Per inciso, le gare, di cui tratteremo nel cap. 5, permettono l'altro tipo di concorrenza, quella "per il mercato".
In molti casi, infatti, i servizi di più imprese possono essere del tutto indipendenti, come lo sono quelli viaggiatori rispetto a quelli merci. In altri casi, un'impresa produttrice non ferroviaria potrebbe decidere di curare essa stessa la distribuzione dei propri prodotti, e quindi far circolare i propri treni merci, che restano indipendenti da quelli viaggiatori, ma che probabilmente si pongono in concorrenza con altri gestori merci generici. IKEA, la società svedese produttrice di mobili, ha fatto proprio così: avendo fondato una propria società di logistica per la distribuzione dei suoi prodotti su scala europea, essa gestisce autonomamente ogni tipo di trasporto, compresi quelli per ferrovia. Infine più servizi possono risultare complementari: è anzi questa la norma tra imprese ferroviarie che agiscono su relazioni contigue, oppure su segmenti di mercato non sovrapposti, quali il trasporto locale e la lunga percorrenza.
Al momento la legislazione italiana, in accordo con le direttive dell'Unione Europea, prevede le situazioni riassunte in tabella.
Tipo di servizio | Regime previsto | Stato di attuazione |
Trasporto locale | Affidamento diretto ad un unico gestore, attraverso un Contratto di servizio: è stato il punto di partenza, nel momento in cui dapprima lo Stato, e in seguito le Regioni, hanno cominciato a richiedere esplicitamente servizi ferroviari alle FS. | E' il regime attualmente vigente in tutta Italia; i Contratti di servizio (Cap. 4) sono redatti dalle Regioni (o dallo Stato in casi particolari). |
Trasporto locale | Gare per il mercato: dovrebbe rappresentare il punto di arrivo nel giro di qualche anno, sebbene la scadenza di legge sia già stata prorogata di due anni, dall'originario 2004. Questo tipo di gara salvaguarda l'impostazione sussidiata del trasporto locale, garantendo nel contempo, almeno in teoria, la pluralità di operatori. | Sono state bandite gare in Veneto (intera rete, due lotti), Liguria (intera rete, lotto unico) e Lombardia (tre lotti, pari a tre sottoreti). |
Lunga percorrenza (nazionale) | Più operatori in concorrenza nel mercato | Possibilità teorica finora non sfruttata. Ad oggi Trenitalia (Divisione Passeggeri) gestisce la totalità del trasporto nazionale. |
Lunga percorrenza (internazionale) | Più operatori in concorrenza nel mercato | Esistono due imprese indipendenti, che operano su relazioni specifiche (Cisalpino e Artesia), mentre il resto del servizio è affidato a Trenitalia secondo la modalità tradizionale. |
Merci | Più operatori in concorrenza nel mercato | Più imprese indipendenti sono già operative (Ferrovie Nord Cargo, Rail Traction Company, SBB Cargo Italy); molte di queste imprese operano su relazioni specifiche (al contrario di Trenitalia Cargo, che detiene ancora la maggioranza dei servizi su scala nazionale); alcune sono la filiale italiana di case madri straniere. |
Il pedaggio
Torniamo ora alla visione "commerciale" del rapporto tra gestore dell'infrastruttura e imprese ferroviarie. Abbiamo detto che il gestore dell'infrastruttura vende le tracce alle imprese ferroviarie; occorre ora parlare del prezzo. Il prezzo si chiama "canone di accesso all'infrastruttura", o più brevemente, per similitudine con quello autostradale, pedaggio. Ogni traccia che l'impresa acquista ha un suo costo preciso, esattamente come il costo che l'automobilista deve pagare per percorrere un certo tratto di autostrada; a fine anno, già oggi, RFI emette una fattura a Trenitalia, che salda il pedaggio di tutti i suoi treni.
Come viene calcolato il pedaggio? Esso si compone di vari fattori:
Possiamo delineare due conseguenze significative di questa impostazione:
Se pensiamo alle "vecchie" FS, l'effettuazione di un treno in più non aveva alcun costo aggiuntivo, oltre a quello, ovvio, del personale che lo conduceva. Bastava... alzare i pantografi e partire, sia che si trattasse di un treno straordinario (sporadico), sia che si decidesse di introdurre in orario una corsa in più. Molti lettori ricorderanno che un buon numero di treni speciali fotografici era stato messo in piedi agevolmente proprio con questa logica...
Oggi non è più così: la divisione della ferrovia in due soggetti ha richiesto di monetizzare i loro rapporti; di conseguenza, ogni treno, in aggiunta ai propri costi fisici, deve oggi pagare un pedaggio al gestore dell'infrastruttura. Ma è evidente che un singolo treno in più per l'infrastruttura non è un costo, se non del tutto trascurabile; al contrario, dieci o cinquanta treni in più diventerebbero probabilmente un costo molto grosso, perché bisognerebbe assumere più addetti alla circolazione, potenziare le sottostazioni elettriche, raddoppiare la ferrovia o al limite costruirne una nuova. Questa situazione è tipica di tutte le reti che in economia si dicono "a costo marginale nullo" (lo sono per esempio anche quelle telefoniche); in questi casi la monetarizzazione o si basa su modelli matematici complessi, ad esempio di ricerca operativa, oppure non può che essere del tutto convenzionale. Quest'ultima è stata la strada scelta da RFI, ed era forse l'unica praticabile nell'immediato, in quanto l'uso di strumenti di ricerca operativa, pur teoricamente più valido, sarebbe stato più difficile da gestire correttamente (oltre che da comunicare), e con un elevato rischio di errori di valutazione.
E' pertanto evidente che dire che un treno paga un pedaggio di 1 Euro al km è una pura convenzione, che trova la sua ragione di essere nel fatto che la somma di tutti questi pedaggi, pagati da tutti i treni, raggiunge globalmente quello che RFI deve riscuotere per riuscire a gestire la propria rete.
Se si pensa alla ripartizione delle risorse trasferite alle Regioni (cfr. Cap. 3), probabilmente con i pedaggi si è fatto un passo avanti, perché si è cercato di inserire delle voci che, almeno qualitativamente, approssimino le differenze di costo tra le varie parti della rete: ad esempio il fatto che una linea principale abbia un pedaggio maggiore di una secondaria, o che un nodo – tipicamente congestionato – sia un luogo per accedere al quale si debba pagare un "sovrapprezzo" sembrano interpretare correttamente la situazione reale. Va però sottolineato che, come in tutte le monetizzazioni convenzionali, non mancano effetti collaterali:
Bisogna dire che RFI cerca di venire incontro all'impresa ferroviaria nei casi più palesemente anomali. Nel caso citato dei treni Milano-Seregno, RFI ha successivamente accettato di "allargare" il nodo fino a Seregno, di modo che l'intero percorso vi si troverà compreso, e sparisca pertanto il diritto di accesso alla linea Milano-Chiasso.
Più in generale, appare sempre di più che il pedaggio, oltre alla sua natura convenzionale, può acquisire una valenza politica (o strategica): ad esempio il citato ridimensionamento dei nodi può essere usato in modo strategico per favorire i treni a breve percorrenza o quelli a lunga, cioè per "scaricare" il costo dell'infrastruttura su segmenti di offerta diversi (e quindi, in cascata, su utenti diversi). Uno stesso discorso può applicarsi alle fasce orarie: se si vuole favorire il traffico pendolare, ad esempio per i benefici ambientali che esso comporta, è possibile abbassare il pedaggio richiesto ai treni regionali nelle fasce orarie di punta, in cui essi sono costretti a viaggiare: in queste fasce, a pari altre condizioni, il pedaggio di un treno regionale potrà così essere inferiore a quello di un treno a lunga percorrenza.
C'è anche una terza conseguenza, piuttosto peculiare. Vediamo il flusso monetario di tutta la vicenda, per lo meno nel caso del trasporto regionale. Lo Stato trasferisce le risorse finanziarie alle Regioni; le Regioni pagano il corrispettivo a Trenitalia; Trenitalia usa il corrispettivo (mediamente circa il 30% del totale) per pagare il pedaggio a RFI. Tutto ok? Sì, ma non dimentichiamo che RFI a sua volta è di proprietà del Ministero del Tesoro, cioè dello Stato, e che comunque, quello che non riesce a coprire con il pedaggio, lo copre con altre forme di sussidio statale. Siamo sicuri che questo flusso monetario, di fatto su un anello chiuso, non fosse evitabile? E che il meccanismo di "trasferire" risorse alle Regioni, se davvero si riteneva giusto andare verso la loro autonomia, non potesse essere sostituito da un federalismo più concreto, in cui le regioni disponessero realmente di risorse proprie?
Eppure quanti vincoli di programmazione dei servizi ha imposto questo scelta, affinché i conti tornassero lungo tutti i passaggi nei quali si era scelto di schematizzare tale anello?
Resta un'ultima, fondamentale questione da analizzare. E' chiaro che su una linea ferroviaria in cui una sola impresa vuol far passare i propri treni, il gestore dell'infrastruttura non ha alcun problema ad assegnarle le tracce. Ma che cosa succede quando la stessa traccia è "ambìta" da più imprese? O quando non ci sono comunque tracce a sufficienza per tutte le imprese?
In tutti questi casi vi è il problema dell'allocazione della capacità, che è disciplinato in maniera molto precisa dal gestore dell'infrastruttura, cioè da RFI, mediante il Prospetto Informativo della Rete (PIR): un importante volume di dati e norme che RFI pubblica annualmente e che disciplina tutta la materia. Esso contiene la descrizione fisica della rete (linee e impianti) e tutte le prescrizioni a cui si devono attenere le imprese ferroviarie che richiedono delle tracce.
In pratica, se l'orario entra in vigore a metà dicembre, ciascuna impresa deve presentare le proprie richieste di tracce, cioè di riservazione della capacità, entro l'aprile precedente. RFI ha un certo periodo di tempo per rispondere, elaborando un progetto di orario, che accetta in tutto o in parte le richieste. Se non tutte le richieste hanno potuto essere accolte, per avvenuto superamento della capacità della linea, RFI è tenuta ad individuare quella linea come "infrastruttura satura". Questa non dovrebbe essere una pura definizione formale; al contrario, dovrebbe obbligare RFI ad elaborare un programma di potenziamento infrastrutturale per porre rimedio a tale saturazione. Al momento, tuttavia, non risulta che ciò sia mai stato fatto: in realtà, la presenza di ben pochi richiedenti, oltre a Trenitalia, ha reso relativamente facile il soddisfacimento delle loro richieste, senza dar luogo a conflitti insormontabili.
La possibilità di soddisfare agevolmente tutte le richieste di tracce potrebbe apparire positiva. In realtà essa è molto legata alla situazione di conservatorismo che caratterizza l'offerta e, soprattutto, rischia di mascherare un sostanziale impoverimento dell'infrastruttura esistente. Infatti, nell'ultimo quindicennio l'applicazione di un modello che, con molto eufemismo, veniva chiamato di rete snella, ha sensibilmente penalizzato la potenzialità di molte linee, con una drastica riduzione delle stazioni abilitate all'incrocio, alla precedenza e all'attestamento dei treni (naturalmente ciò conseguiva l'effetto di un immediato abbattimento dei costi di esercizio, facendo a meno di investimenti tecnologici a lunga scadenza). Del resto, anche là dove si progettano investimenti infrastrutturali, si ha spesso l'impressione che essi siano pensati prima della progettazione dei servizi, e non dopo, come sarebbe più efficiente (per l'importante materia del rapporto tra infrastruttura e offerta di servizi si rimanda a un prossimo articolo specifico).
Possiamo allora individuare un'altra importante conseguenza della divisione tra infrastruttura e servizio: la necessità di disciplinare esplicitamente un maggior numero di aspetti. Al pari della monetizzazione del canone di accesso, il procedimento di allocazione della capacità è una di quelle cose di cui prima non c'era bisogno, e che diventano oggi necessarie. Naturalmente ciascuno è libero di leggere in questo aspetto i vantaggi piuttosto che gli inconvenienti.
RFI è tenuta a trattare le imprese tutte allo stesso modo, cioè ad assegnare le tracce indipendentemente dall'impresa che le chiede, e quindi dall'uso che conta di farne. Va anche detto che, fino ad oggi, se si esclude il traffico merci, la richiesta delle tracce è stata generalmente improntata al conservatorismo, cioè al mantenimento dello status quo, antecedente alla separazione delle competenze. Tuttavia, alcuni ritengono che, almeno su certe linee, sarebbe opportuno adottare criteri meno "neutri", il che equivarrebbe a specializzare l'infrastruttura. Ad esempio si potrebbe definire una certa linea come specializzata per i treni pendolari. Questo porterebbe a riservare ad essi una quota di capacità, che non possa essere intaccata nel caso di un eventuale conflitto con richieste per treni a lunga percorrenza.
Un'altra interessante considerazione riguarda il regime contrattuale che vige tra RFI e le imprese ferroviarie. Benché il PIR preveda un Contratto di accesso all'infrastruttura (il cui corrispettivo economico è appunto rappresentato dal pedaggio) non si può non notare come il rapporto cliente-fornitore sia viziato dal carattere tuttora monopolistico del fornitore. In altre parole, Trenitalia e le altre imprese ferroviarie non possono scegliere il proprio fornitore, e si trovano pertanto in una condizione di svantaggio, nel momento in cui volessero contrattare condizioni di accesso a loro più favorevoli (peraltro, proprio per limitare questo inconveniente, le condizioni sono in larga misura fissate con leggi dello Stato). A maggior ragione le imprese ferroviarie hanno difficoltà ad esigere l'erogazione di molti servizi accessori, come ad esempio la pulizia delle stazioni e le informazioni al pubblico. Essi sarebbero compito del Gestore dell'infrastruttura, ma è evidente che, in mancanza di regole precise, il loro livello di qualità rischia di essere difficilmente controllabile.
Più in dettaglio, ad oggi, manca completamente nel rapporto contrattuale un sistema di compensazioni economiche nel caso di disservizi subiti da un'impresa ferroviaria a causa di RFI o di altre imprese ferroviarie. Questo significa che, quando Trenitalia subisce un ritardo per il guasto dell'infrastruttura o di un treno di un'altra impresa, non viene risarcita in alcun modo (e in alcuni casi deve anche subire le penalizzazioni previste dal proprio Contratto con la Regione). Al contrario, notiamo che quando un'impresa sopprime un treno per propri motivi, RFI trattiene, a titolo risarcitorio, un "diritto di prenotazione" della traccia non utilizzata. Molte imprese ferroviarie straniere, che vorrebbero effettuare servizi in Italia, vedono tale mancanza di regole chiare come una delle più significative barriere all'ingresso nel mercato italiano.
Alla luce di tutto questo, RFI sta da tempo predisponendo un sistema, denominato con il termine inglese "performance regime", che prevede tutti i necessari meccanismi di compensazioni economiche tra i vari soggetti in gioco, e che dovrebbe entrare in vigore sperimentalmente nel 2005.
Quello che abbiamo visto relativamente alla rete nazionale può essere applicato anche alle singole ferrovie in concessione? Per il momento, non ancora; ma la tendenza è senz'altro quella di portare le ferrovie concesse a una situazione simile.
In realtà molte questioni, prima fra tutte quella della sicurezza, erano, e sono ancor oggi assai diverse tra le FS e le concesse. I motivi sono legati alla diversa "storia" di queste reti. Le FS, come abbiamo detto, erano sempre state il braccio operativo dello Stato: in buona sostanza, esse erano lo Stato. Di conseguenza non si era mai sentita l'esigenza di istituire uffici o enti che ne sorvegliassero l'operato; anzi: le stesse FS "facevano in casa" i propri regolamenti, che spesso assumevano il carattere di vere e proprie specifiche tecniche di riferimento.
Con le concesse, la situazione era assai diversa: esse erano le ferrovie "private", cioè gestite (almeno in teoria) come organizzazioni imprenditoriali. Era pertanto naturale che il Ministero considerasse proprio compito il farsi carico dei controlli sulla sicurezza dell'esercizio.
Mentre la gestione della sicurezza delle FS è stata "ereditata" da RFI (che è oggi il soggetto legalmente incaricato di emettere i regolamenti e controllarne il rispetto), le "vecchie" norme sulle ferrovie concesse (DPR 753/80 e Circ. 201/83) sono rimaste valide. Esse prevedono ad esempio che tecnici del Ministero rilascino un nulla osta all'immissione in servizio di ogni singolo rotabile (mentre l'omologazione di RFI riguarda oggi il modello, non i singoli mezzi); ogni rotabile viene inoltre periodicamente visitato e controllato dai tecnici del Ministero, ed è presente una figura – quella del direttore d'esercizio – su cui ricade la responsabilità legale di tutto l'andamento della ferrovia.
A questo punto si inserisce il DLgs 188/2003 che, attraverso l'emanazione di appositi decreti, prevede di disciplinare anche le concesse in analogia alla rete RFI. Più in particolare le nuove norme si applicheranno alle ferrovie concesse interconnesse con la rete nazionale (quindi restano escluse le reti completamente isolate, come ad esempio la Genova-Casella). I decreti dovrebbero sostanzialmente estendere anche alle ferrovie concesse (interconnesse) la separazione tra un gestore dell'infrastruttura e un'impresa ferroviaria; norme semplificate dovrebbero essere predisposte per quelle ferrovie più piccole, in cui la creazione di due soggetti distinti sarebbe palesemente antieconomica.
Al pari di quello che accade sulla rete RFI, la creazione di un gestore dell'infrastruttura permetterebbe a treni di altre imprese di viaggiare sulla rete in concessione. Oggi infatti, mentre è ormai prassi comune che sulla rete RFI viaggino treni di ferrovie concesse (per esempio i servizi merci di Ferrovie Nord Cargo), una ferrovia concessa che volesse autorizzare il transito di servizi ferroviari esterni sulla propria rete, si troverebbe di fronte a un "vuoto normativo", dal momento che le mancherebbero tutte le procedure autorizzative e di sicurezza (ad esempio l'omologazione dei mezzi) che sono invece proprie di RFI, e naturalmente anche la possibilità di riscuotere il pedaggio.
In Lombardia, alla fine del 2003, la società FNME (Ferrovie Nord Milano Esercizio), facente parte di FNM (holding del gruppo) ha separato l'attività di servizio ferroviario, creando la nuova società FNMT (Ferrovie Nord Milano Trasporti); in questo modo FNME ha mantenuto per sé le tipiche funzioni di gestore dell'infrastruttura. Benché non si sia ancora arrivati a un modello societario analogo a quello di FS (FNMT è infatti controllata da FNME, a sua volta controllata da FNM, mentre Trenitalia ed RFI sono entrambe controllate da FS), si tratta senz'altro di un primo passo verso la separazione delle competenze.
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