NUOVO In fondo alla pagina il riepilogo di tutti i brani di Rumiz & Paolini disponibili sullo stagniweb.
Non aggiungo commenti. I due brani che seguono raccontano splendidamente l'"anima" di questo sito.
Trascritto - con un po' di pazienza - da una registrazione televisiva di qualche tempo fa
[...] Poi di colpo quel paesaggio che scorreva fuori dal finestrino si è messo a correre più del treno. Prima fermo, poi camminando, modificandosi, accelerando, il paesaggio s'è messo a correre, e l'unico modo di accorgersene era stare su quel treno, perché se stavi fuori dal treno correvi insieme al paesaggio. E così il treno di colpo è diventato fermo, archeologico, obsoleto, ridicolo. Il treno non è una cosa che si può cambiare, è sistema, è mappa, è geografia. Di colpo questa geografia è diventata ferma, e tutto il resto attorno cambiava, cambiava, cambiava; girava in fretta. E questo impero di colpo si è rivelato obsoleto, antiquato, utopico, sorpassato, come quello sovietico. E allora v'è stato il crollo. Il crollo in realtà ha una sua lineare definizione: la trasformazione del viaggiatore in cliente. Quello è stato il crollo. E' cominciato tutto lì.
E il sistema circolatorio a un certo punto ha avuto bisogno di vie più ampie per circolare, per governare, per muovere i flussi. Ed ecco che, accanto alle strade, sono nate strade, separate dalle altre strade, con i piloni più alti, di cemento armato, con i caselli d'entrata. E il treno fermo; finché – non è che non si fosse allargato, raddoppiato qualche binario..., certo che c'era – però di colpo quando il viaggiatore è diventato cliente, tutto il sistema, la lenta evoluzione, si è rivelata inutile. Andava riconvertito: si chiama dismissione.
Avete presente quello che è capitato alle acciaierie, alle fabbriche dentro la città? Quelle con la sirena che suonava dentro ogni città, che è un mondo vecchio, è un altro paesaggio, è un'altra cosa, un mondo dove lavorava un esercito di persone che non sappiamo dove sono andate. La stessa cosa è con le ferrovie: è come se un esercito di persone che viveva lungo questi luoghi ha dovuto trovare un altro posto. E' iniziata una dismissione, incoraggiata, spinta, che ha portato a disarmare la stazione. Impresenziate, è il termine. Certo, è necessario ridurre i costi, ricalibrare i profitti e passare dalla logica di servizio alla logica di profitto. Ma vuoi che non lo capisca? Vuoi che non comprenda la necessità di reinventare, progettare autostrade per i binari, chemin de fer più larghe? Certo, è tutto comprensibile, assolutamente.
Quello che non capisco è perché, nel paesaggio, qualcuno si lasci chiudere una porta: la stazione. E allora io ricomincio a viaggiare periodicamente attraverso questa rete, senza destinazione, per così misurare una sorta di stato delle cose.
Cerco un ritmo dentro la testa; il ritmo che ho in testa è un ritmo di ferro, il ferro che penso è un ferro 60, un ferro 50, un ferro che ha unito l'Italia. Sono 50 kili al metro e han sostituito quel ferro 32 che c'era all'inizio del secolo passato, quando si creò la rete che metteva in comunicazione tutte le piccole ferrovie isolate di questo paese in un sistema-rete. Allora il ferro leggero, i ponti leggeri, i treni leggeri che ci passavano sopra trovarono con la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale questo ferro 60 un po' più pesante, un po' più concreto.
[...] E quante greggi comparse in cima ai colli che fuori dal finestrino ad aria condizionata ti appaiono esatta riproduzione dell'intervallo della televisione. Il viaggio intero diventa intervallo, sospensione blindata di aereo che vola rasoterra. E' chiaro che serve lo spostamento in autostrada. E' chiaro che serve la tratta veloce, ma se vuoi capire il paese dove vivi, cerca il ferro 50, cerca i finestrini apribili, guarda le stazioni impresenziate, parla con le persone che stanno lì sopra. [...]
Intervista al mensile Il segno, luglio-agosto 2006
Di sicuro, rispetto a qualche anno fa, oggi conosciamo peggio sia il nostro Paese sia i Paesi esteri. Mia nonna si muoveva lentamente nel suo territorio e quindi lo conosceva perfettamente. Noi spesso conosciamo il nostro territorio solo come pendolari, quindi non lo vediamo, anzi lo odiamo. D'altra parte i luoghi troppo lontani non li conosciamo, perché non possiamo fare la strada che c'è in mezzo, siamo costretti a prendere un aereo. Meno male che c'è l'autostrada, grazie alla quale le altre strade italiane sono vuote: ci sono meravigliose strade minori che possono essere gloriosamente ripercorse, per certi aspetti con la stessa solitudine di cinquant'anni fa.
La lentezza ti fa vedere di più. Ma farei un discorso ancora più estremo: siccome vedi di più, i percorsi ti sono più familiari, tutto quello che incontri diventa molto più tuo che non se ci passassi ad alta velocità. La lentezza, anziché allungare i percorsi, li accorcia. Viaggiare sparati sul rettilineo significa non guardare nulla, annoiarsi, non vedere l'ora che finisca. Che, se ci pensiamo, sono le caratteristiche della galera...
La fatica è una componente importante, trovo assurdo che si stia fermi tutto il giorno per poi fare jogging sotto casa o ginnastica in palestra. Tanto vale camminare, andare in bicicletta, anche per arrivare in ufficio.
Il mezzo che tu cavalchi condiziona l'altro in modo determinante. Più tu sei solo e lento - e quindi con meno arroganza, velocità e clamore ti poni nei confronti della strada e del territorio degli altri - tanto più sarai accolto bene.
Bisogna premettere che oggi il mondo è meno interessante di trent'anni fa, e ancora meno di sessant'anni fa e di un secolo fa. Il dramma dei viaggiatori di oggi è che ci sono molte meno difficoltà e molti meno "altri" da incontrare. Come uscire da questa impasse? Intanto bisogna dire che la forza dell'avventura non è proporzionale alla distanza dei luoghi: si possono ancora seguire vecchi itinerari molto interessanti. È molto bello anche partire dalla soglia di casa propria, perché ti dà la misura del mondo. E questo è possibile anche dal centro di Milano: persino in posti come la Lombardia, intasata e appestata dal pendolarismo, si riescono ancora a trovare spazi di solitudine.
Le "vacanze solidali" sono tutte cose buone, però senza dimenticare che il vero grande viaggio, quello che fa crescere, è il viaggio da soli. Devi trovarti in difficoltà, devi superare momenti di malinconia, di nostalgia. Trovarti solo in una sera di primavera, sentire il rumore delle stoviglie nelle case degli altri, ricordarti che assomiglia a quello di casa tua... sono cose che ti rimettono in sesto tutti i valori. Il viaggio serve anche a questo, a conoscerci attraverso gli incontri con gli altri. Alla fine, il vero incontro è quello con noi stessi. Credo sia importante fare questa esperienza almeno una volta nella vita. Io continuo a farlo, non mi basta mai.
"Seconda classe", l'affascinante racconto del viaggio di Paolo Rumiz e Marco Paolini per le ferrovie secondarie italiane.
La discesa su Sulmona raccontata con le parole di Paolo Rumiz e le fotografie di Fabrizio Bin.
Appennino, il cuore segreto: l'ultima avventura di Paolo Rumiz, attraverso l'Italia su una «Topolino» del 1953.
L'evoluzione della carta al 200.000 del Touring Club Italiano dall'1:250.000 di inizio secolo ai giorni nostri, con uno scritto di Paolo Rumiz.
Inoltre un "riquadro" di Marco Paolini nelle pagine sul modellismo, su "perché questo sito", sulle cronache di ferrovia, ... e altri in preparazione!