Ferrovia, ciclopista o "gommotram"?

Scritto a novembre 2014

Il mese scorso mi è stato chiesto da un giornale locale di rispondere a una serie di domande, che partivano dal "solito" tema delle ferrovie chiuse, per cercare di capire, con una visione legittimamente pragmatica, che cosa fosse utile fare per il martoriato TPL italiano.

Ne sono usciti i "consigli" che seguono, che possono riassumersi in pochi concetti chiave:


Che cosa si potrebbe concretamente consigliare ai politici come proposte?

E' difficile trovare soluzioni migliorative se l'input politico è soltanto quello di spendere meno. In genere tutte le proposte che sono state fatte (tram-treno e sue varianti, riutilizzo della sede ferroviaria, ecc.) prevedono un investimento infrastrutturale: comperare i tram-treno, adattare la linea ferroviaria e così via. Se poi rimane il servizio pubblico, al costo infrastrutturale si somma la spesa corrente, dato che il trasporto locale richiede sempre un sussidio, ovunque nel mondo. Il rischio maggiore, analizzando anche tanti casi simili di "sprechi" avvenuti in giro per l'Italia, è di fare investimenti infrastrutturali destinati ad essere sottoutilizzati o addirittura mai utilizzati.

A un costo inferiore, solo in situazioni molto fortunate è pensabile di fare un servizio migliore. E' emblematica una recente dichiarazione dell'Assessore piemontese ai trasporti, relativa alla ferrovia Novara-Varallo (chiusa a settembre 2014): "Prima della sperimentazione che ha visto i treni dimezzati, si avevano 900 utenti al giorno, quando abbiamo chiuso eravamo a meno di 200" (tgvercelli.it). Che cosa si pensava? Che dimezzando il servizio, l'utenza aumentasse??


L'unico consiglio che darei ai politici è di "non fare niente", nel senso di cercare con ogni mezzo di non tagliare, di non far "arretrare" il livello di servizio offerto, perché altrimenti si prende una china senza ritorno, e la dismissione crea dismissione.

E' la stessa cosa che avevo detto a proposito della Novara-Varallo: il servizio ridotto della cosiddetta "sperimentazione" del 2013/2014 era largamente inutile ma costava una cifra pressoché trascurabile (2 milioni e mezzo su un bilancio della Regione Piemonte di circa 17 miliardi). Se proprio non c'erano i soldi per migliorarlo, tanto valeva tenerlo così, almeno in attesa di tempi migliori. Una volta chiuso, ci si può scommettere che è "per sempre". Del resto si è già visto sulle altre linee che nel giro di un paio d'anni il degrado e il vandalismo hanno il sopravvento e l'ipotetica riapertura comporterebbe dei costi aggiuntivi del tutto nuovi, che verosimilmente mai nessuno si sobbarcherà, specie se la percezione che è rimasta nell'opinione pubblica e nella politica è quella di una ferrovia "inutile".

Anche il cambio di gestore, cioè lo sbandierato affidamento con gara, è difficilmente una condizione risolutiva ai fini del risparmio. Per questo metto sempre in guardia nei confronti del mito delle "gare" per affidare i servizi. Un ipotetico nuovo gestore, anche più efficiente del monopolista, forse potrà far pagare un po' meno un servizio come quello fatto finora. Ma quello fatto finora veniva considerato insoddisfacente - tanto da aver portato alla chiusura! - e dunque per fare un servizio soddisfacente bisognerebbe spendere almeno come si spendeva ieri, se non di più. Ma i soldi di ieri - ci viene detto - oggi non si possono più mettere, e men che meno si può spendere di più. E dunque? Si entra in un circolo vizioso letteralmente senza soluzione.

Peraltro alcune delle (non molte) leve disponibili per far costare meno la ferrovia non sono nelle mani delle Regioni ma dello Stato, l'illustre assente in tutta questa vicenda. L'unico vero risparmio significativo sulle ferrovie secondarie si potrebbe ottenere - addirittura dall'oggi al domani! - permettendo di far condurre il treno dal solo macchinista, senza capotreno: cosa del resto ragionevole, se si pensa che il bus, in condizioni di sicurezza stradale ben più precaria, è condotto dal solo autista. Ebbene: quando nel 2012 Trenitalia, lodevolmente, tentò di avviare una sperimentazione in tal senso, fu subito bloccata da una posizione ufficiale dell'ANSF, l'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria, un organo dello Stato (dettagli). E allora: chi vuole davvero trovare soluzioni efficienti?


Non sarebbe meglio pensare concretamente subito al futuro utilizzo del impiego del sedime, accelerando anche i tempi di dismissione da parte di RFI?

E' verosimile ritenere che le ferrovie chiuse negli ultimi quattro anni non verranno mai più riaperte, ma la dismissione del sedime ne sancirebbe la fine con certezza matematica. Ne vale la pena? In linea di massima nessun uso ipotizzabile appare particolarmente efficiente. E anzi, tutti quanti presuppongono un costo infrastrutturale, con il rischio di ricadere in quanto dicevo prima: si fa l'investimento, in buona o cattiva fede, e poi lo si lascia inutilizzato o quasi.

Anche lo stesso uso come pista ciclabile, spesso richiesto dall'opinione pubblica, andrebbe attentamente ponderato, se davvero l'obiettivo primario è quello di risparmiare, come ci viene raccontato, perché anche le piste ciclabili non si costruiscono gratis. Ad esempio i 22 km di pista ciclabile a San Remo, sulla ferrovia litoranea dismessa, sono costati qualcosa come 43 milioni di euro (imperia.mentelocale.it), l'equivalente di circa 20 anni di sussidio di una delle linee piemontesi chiuse. In quel caso si trattava di un'opera importante e oggi utilizzatissima, ma San Remo è in un contesto ambientale eccezionalmente favorevole, e per costruire una ciclopista litoranea non c'erano alternative realistiche alla ferrovia dismessa. Trovare queste stesse condizioni anche altrove non è affatto scontato.


Sono state fatte proposte di riutilizzo del tracciato come corsia preferenziale per gli autobus, oppure per creare una nuova linea per soli filobus o per mezzi pubblici a Gpl, metano e simili. Sono buone idee?

Destinare una ferrovia dismessa a corsia preferenziale per i bus è un'operazione attuabile con qualche vantaggio solo per alcune limitate tratte di penetrazione urbana dove la strada è particolarmente congestionata. Forse in alcuni casi potrebbero tornare utili le gallerie ferroviarie, come "scorciatoia", ma si tratta di pure ipotesi. In realtà le ferrovie dismesse sono tutte a un solo binario, quindi non permetterebbero la circolazione bidirezionale dei bus, e le gallerie sarebbero soggette a talmente tanti vincoli normativi e di sicurezza, da renderne quasi certamente antieconomico l'utilizzo.

Il mio consiglio è di diffidare sempre dalle soluzioni tecnologicamente inconsuete. Nell'ultimo secolo il trasporto pubblico ha subito una evoluzione che potremmo definire quasi darwiniana: i sistemi più strani si sono estinti per selezione naturale. Se in tutti i paesi più evoluti, quelli che esistono sono normalissimi treni, metropolitane, tram, filobus e bus, significa che questi sistemi - e solo questi! - hanno superato la selezione naturale.


Qualche volta le cose più "fantasiose" possono funzionare in modo accettabile, come il Translohr, il tram su gomma di Padova e Mestre, ma in tal caso i reali benefici rispetto a costruire un normalissimo tram sono tutti da verificare (e da confrontare con gli svantaggi di aver scelto una tecnologia proprietaria, disponibile presso un unico costruttore).

Ma purtroppo non manca una lunga lista di esempi fallimentari: se il loro vergognoso disastro è leggibile persino nelle compassate pagine della Wikipedia, si possono avere davvero pochi dubbi sull'inutilità di avventurarsi in simili esperimenti. Basta citare il Civis di Irisbus, un bus a guida ottica protagonista di una tragicomica vicenda a Bologna (Wikipedia) e lo Stream di AnsaldoBreda, basato sulla presa di corrente da una canalina interrata e abortito a Trieste (Wikipedia), senza dimenticare il caso della cosiddetta metropolitana di superficie di L'Aquila, costruita e lasciata a mezzo ancor prima che il terremoto cambiasse le vicende della città. Intanto aspetto con interesse di vedere quale sarà l'esito pratico del Phileas a guida magnetica (Wikipedia) in costruzione a Rimini e a Pescara (in quest'ultimo caso in una versione ibrida a filobus e gasolio, giusto per non farsi mancare nulla...), .

In quanto ai filobus, un sistema filoviario, per offrire reali vantaggi su un normale bus, ha bisogno di precise condizioni tecniche (quantità di domanda, struttura e organizzazione della rete, ecc.) per le quali la disponibilità di una sede ex ferroviaria sarebbe solo un elemento tra tanti, e probabilmente nemmeno il più determinante. Sarebbe invece determinante la volontà politica di investire significativamente nella filovia, sia come costo iniziale, sia (e soprattutto) come spesa corrente per il suo esercizio: non è proprio quello che riesco a immaginarmi per i capoluoghi di Regioni che stanno dismettendo tutto il dismettibile!

Del resto in giro per l'Italia gli impianti filoviari sono ridotti al lumicino, e - particolare eloquente - al di fuori delle grandi città come Milano, pressoché nessuno circola la domenica, perché gli eccessivi vincoli amministrativi e i costi di gestione lo rendono antieconomico per l'azienda. E non mancano i casi più vergognosi, come quello di San Remo (Riviera Trasporti) che ha lasciato andare in rovina la sua storica rete filoviaria, per farsi abbindolare dagli autobus a idrogeno, una tecnologia né matura né promettente, con il risultato che i nuovi mezzi a idrogeno sono ovviamente fermi in deposito.


Lo scarso utilizzo del treno è stato spesso giustificato dalla presenza di un servizio autobus praticamente negli stessi orari. Questa è una penalizzazione reale per la ferrovia?

Autobus e treno dovrebbero cercare di fare due mestieri diversi, ovunque sia possibile. Il treno è meno capillare ma può e deve essere più veloce, prima di tutto perché non è soggetto alla congestione stradale. Se la stazione di destinazione nel capoluogo è messa bene a livello urbano (come la maggioranza delle stazioni italiane), deve evidenziarsi un vantaggio competitivo del treno nell'arrivare velocemente in città. Se così non è, significa che la ferrovia sta lavorando male. Ma allora che cosa si vuole scegliere? Si uccide la ferrovia o si cerca di farla lavorare bene?

A livello pratico può essere accettabile avere percorsi parzialmente sovrapposti, ma un servizio di TPL fatto di treni e di bus funziona se i due mezzi lavorano in sinergia e si rivolgono a "segmenti di trasporto" differenti. I bus devono prioritariamente portare viaggiatori alla ferrovia. L’orario cadenzato simmetrico della ferrovia (anche in Piemonte) crea automaticamente dei "nodi" dove i treni si incrociano, sempre al minuto .30 o .00. Questi nodi sono le località ideali dove far confluire/defluire i servizi bus, creando sempre corrispondenze per e da tutte le destinazioni

In ogni caso io do questa indicazione molto pragmatica: in un mercato "povero", come è purtroppo quello del TPL in molte parti d'Italia, il maggior numero di studenti deve essere lasciato al treno; se il treno perde anche la mobilità studentesca, ha davvero superato il punto di non ritorno. In un mercato più "ricco" il treno deve guadagnare anche un’utenza non strettamente pendolare, per esempio turistica (che sperimentalmente appare molto più difficile convincere a salire sui bus, salvo pochi casi fortunati).


Se su una linea gli autobus sono pieni e il treno vuoto significa che il servizio su gomma per quella linea è più comodo?

E' molto difficile avere dati certi, persino per gli addetti ai lavori, e quindi in questo caso posso solo parlare per esperienza "visiva" da utente del treno e osservatore dei bus. Quando ho avuto modo di osservare treni e bus che facevano lo stesso mestiere, quindi in competizione tra loro, se il treno non era particolarmente pieno, il bus era ancora più vuoto! Penso ad esempio alla Ceva-Ormea o alla Aosta - Pre S.Didier, una chiusa nel 2012, l'altra sempre a rischio di chiusura: ogni volta che vedevo uno dei (troppi) autobus paralleli, erano sostanzialmente vuoti.

Alla fine la regola è molto semplice: la ferrovia è (era?) un investimento infrastrutturale esistente e già disponibile; là dove c'è, ha senso concentrare gli sforzi su di essa. Si tratta semplicemente di buona amministrazione di un patrimonio che è di tutti i cittadini.


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