Le ferrovie italiane oggi: i 10 problemi - approfondimenti

Una riflessione sulla sicurezza ferroviaria

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Premessa - Il tabù della sicurezza

Parlare di sicurezza è difficile e "pericoloso", anche quando ci si sta riferendo alla ferrovia, cioè a qualcosa che da sempre viene considerato come il mezzo di trasporto sicuro per eccellenza.
In realtà abbiamo avuto più volte la sensazione che la sicurezza sia stata utilizzata come giustificazione per norme, comportamenti, investimenti cospicui, che forse non sempre sono stati la scelta migliore, che talvolta hanno addirittura portato all'irrigidimento della circolazione e in ultima analisi alla riduzione della capacità reale della rete.
Per questo abbiamo azzardato l'uso della parola «tabù». Per questo, all'interno dell'articolo sui dieci problemi delle ferrovie, riteniamo utile fare qualche considerazione, anche severa, su questa specie di tabù della sicurezza.


Che cos'è la sicurezza ferroviaria

E' certamente noto che, tra tutti i mezzi di trasporto, la ferrovia offre un livello di sicurezza assai elevato, sostanzialmente irraggiungibile nel trasporto stradale. Questo è dovuto a caratteristiche intrinseche della ferrovia, e cioè al fatto che la marcia dei veicoli è di tipo vincolato, sia fisicamente al binario, sia in senso più astratto, attraverso la rigida regolamentazione della circolazione.

L'analisi della "questione sicurezza" in ferrovia non può pertanto prescindere da un contesto di 150 anni di storia in cui essa si è distinta per standard di sicurezza inequivocabilmente superiori al trasporto stradale.

Va anche precisato che, come in qualsiasi altro campo, anche in ferrovia una sicurezza "assoluta" non può esistere. Esiste invece un concetto probabilistico di sicurezza, che inevitabilmente - ma correttamente - porta a ragionare in termini di compromesso tra i costi che si possono sostenere e il rischio che si considera tollerabile.

All'interno del panorama ferroviario internazionale, la ferrovia italiana ha spesso spostato questo compromesso molto a favore della minimizzazione del rischio, accettando di conseguenza dei costi elevati, sia monetari, sia di efficienza complessiva del sistema: ne daremo un esempio nel prossimo paragrafo.

Vi è tuttavia un ambito, molto specifico, in cui la ferrovia italiana è rimasta colpevolmente arretrata fino a tempi recentissimi: i sistemi che provocano l'arresto automatico del treno nel caso di mancato rispetto di un segnale. Le nostre riflessioni si concentreranno pertanto su tale aspetto.

Per maggior chiarezza, è però utile provare a suddividere gli ambiti di sicurezza secondo lo schema che segue.

Rappresenta un comune aspetto di gestione industriale. E' evidente che la prima garanzia di sicurezza è data dal buon mantenimento dei beni, cioè da una corretta e regolare manutenzione. Dal momento che non riguarda temi specifici della ferrovia, questo aspetto è in genere meno problematico e non verrà ulteriormente dettagliato.
Comprende tutto il complesso dei regimi di circolazione e degli apparati di comando delle stazioni e delle linee, che permettono di far marciare i treni lungo la rete. Rappresenta un aspetto peculiare della ferrovia e da lungo tempo utilizza tecnologie estremamente affidabili, che contribuiscono in modo significativo alla sicurezza complessiva dell'intero sistema.

Comprende tutti gli apparati che controllano l'operato del macchinista e ne prevengono eventuali errori, agevolandone anche il lavoro. Come abbiamo anticipato, rappresenta un aspetto critico e cruciale della ferrovia, soprattutto in Italia, e sarà analizzata in dettaglio.

Comprende tecniche e metodi di gestione della ferrovia che cercano di prevenire inconvenienti provocati da agenti esterni, come ad esempio frane sui binari o altre calamità naturali. In passato ha rappresentato un forte fattore di rischio, soprattutto a causa della difficile situazione geomorfologica italiana. Il disastro della Freccia della Laguna sulla Bologna-Firenze (1978) può essere considerato come l'incidente che ha contribuito a un profondo ripensamento sulla protezione da calamità naturali, tanto che oggi questo tipo di rischio appare meno problematico e può essere in genere ricondotto al primo punto di questo elenco.

Comprende una corretta organizzazione e gestione delle strutture accessibili al pubblico: stazioni, marciapiedi, passaggi a livello, ecc. Va osservato che spesso gli incidenti sono legati al mancato rispetto di basilari misure di prudenza (come nel caso dell'attraversamento indebito dei binari) ed è pertanto evidente che, qui più che altrove, è necessario valutare con attenzione il punto di equilibrio tra misure di sicurezza e rischio connesso a comportamenti imprudenti.

Va infine sottolineato come alcuni incidenti sfuggano a questa classificazione: essi sono legati alla concomitanza di situazioni variamente anomale, e pertanto molto più difficili da individuare: misure di sicurezza contro questo tipo di incidenti non richiedono forti investimenti, ma un'attentissima analisi delle situazioni di rischio e delle normative che le governano: tale analisi non può che essere affidata alle aziende ferroviarie e non viene pertanto affrontata in queste note.


Dalla gestione della circolazione al rispetto dei segnali

La ferrovia, fin dai primordi, ha sempre cercato di utilizzare meccanismi a sicurezza passiva: se qualcosa si guasta, si deve guastare nella posizione che impedisce il danno. Ad esempio un semaforo, se si guasta, deve mostrare l'aspetto a via impedita: un sistema di contrappesi ha sempre sfruttato la forza di gravità per garantire il rispetto di questa condizione. Analogamente, nei treni, la condotta del freno, se si spezza, deve provocare l'arresto del treno: per questo la condizione di freno inattivo è associata alla condotta in pressione e non viceversa. Così facendo, la perdita di pressione per rottura della condotta provoca l'arresto del treno: questa soluzione ci dà spunto anche per un interessante esempio di quel compromesso tra efficienza e sicurezza, di cui si diceva sopra.

Un esempio di minimizzazione del rischio: il controllo della coda sulle linee con Blocco Elettrico Manuale

Fare un esempio di compromesso tra efficienza e sicurezza porta inevitabilmente a discorsi un po' tecnici, ma il caso del "controllo della coda" ci pare sufficientemente comprensibile. Fin dai primordi della ferrovia, esisteva il rischio che un treno si spezzasse in linea, cioè che la rottura dei ganci facesse perdere per strada dei veicoli, che rimanevano dunque a occupare pericolosamente il binario, su cui di lì a poco poteva passare un altro treno. Era pertanto necessario, ad ogni stazione, controllare la coda, cioè verificare visivamente che sull'ultimo veicolo fosse posto un segnale distintivo (in Italia una tabella a righe diagonali bianche e rosse), segno evidente che nessun veicolo era stato perso.

I moderni regimi di circolazione fanno oggi automaticamente questo controllo: nel Blocco Automatico, un veicolo perso "occupa" i circuiti di binario (cioè li chiude elettricamente), segnalando dunque la sua presenza; nel Blocco Conta Assi, gli assi del treno vengono appunto "contati" all'entrata e all'uscita di una sezione per verificare il corretto transito dell'intero treno. Nel Blocco Elettrico Manuale (BEM), che non ha circuiti di binario al di fuori delle stazioni, il controllo della coda deve essere fatto da un agente di stazione, ad esempio prima di autorizzare la partenza di un treno incrociante sulle linee a semplice binario.

Ma, come abbiamo visto, il freno continuo agisce in sicurezza passiva. Se un treno si spezza in linea, anche la condotta del freno si spezza, provocando l'arresto immediato di entrambe le metà del treno. Il freno continuo costituisce la normale dotazione di tutti i veicoli da almeno cinquant'anni; infine, prima della partenza di ogni treno, si effettua una "prova freno" che controlla proprio l'efficienza della frenatura fino all'ultima carrozza.

A questo punto è evidente che il controllo della coda, da cinquant'anni a questa parte, sarebbe decisivo solo nel caso di treno spezzato su cui la prova freno è stata omessa o fatta in modo errato. Eppure esso ha continuato ad essere eseguito, causando un perditempo significativo in tutti gli incroci, cioè una minore efficienza complessiva (per esempio sulla solita Genova-Ventimiglia, l'agente doveva spesso arrivare alla coda di treni lunghi anche 10-12 carrozze).

E' dunque questa la scelta giusta? In termini pragmatici, sarebbe da analizzare quante volte un treno si è spezzato in linea, il macchinista non se n'è accorto, non era stata correttamente eseguita la prova freno, non è avvenuta la frenatura e l'agente di stazione ha verificato l'assenza della tabella di coda. Se il numero di questi eventi fosse inferiore a una certa soglia, si potrebbe dedurre che il compromesso tra efficienza e sicurezza è in realtà troppo spostato a favore della sicurezza.

Come è finita? Il numero di linee con BEM è andato progressivamente riducendosi e quindi il problema si è ridimensionato. Dal momento che il controllo della coda richiedeva comunque un secondo agente di stazione (oltre al dirigente movimento), per risparmiare questo secondo agente intorno al 1999 sono state montate delle telecamere ad entrambe le estremità delle stazioni. Attraverso queste telecamere, il dirigente può controllare da solo la coda dei treni in arrivo. E il controllo della coda, inutile o meno, è rimasto.

 


In moltissimi casi, la sicurezza della circolazione è stata ottenuta grazie a vincoli meccanici tali da rendere fisicamente impossibile disporre due segnali o due scambi in posizioni incompatibili. Praticamente tutti gli apparati di comando delle stazioni utilizzano da sempre sistemi di questo tipo (vedi alcuni esempi tradizionali degli anni Trenta), che si distinguono per la stessa ingegnosità delle soluzioni adottate, in origine appunto meccaniche e in seguito anche elettriche. Ad esempio, nel classico Blocco Elettrico Manuale (BEM) che ha caratterizzato la maggioranza della rete FS per oltre mezzo secolo, sulle linee a semplice binario risulta materialmente impossibile concedere il consenso a un treno se lo si è già concesso a un altro treno marciante in direzione opposta.

Va però osservato che la catena della sicurezza passa inevitabilmente attraverso il macchinista: i segnali possono fornire una sicurezza assoluta per la circolazione solo se sono rigorosamente rispettati dal macchinista.

In altri termini esiste un anello debole, assai ben individuabile, che corrisponde al "passaggio dell'informazione" da terra a bordo del treno. Nella ferrovia tradizionale, fino ai primi decenni del XX secolo, questo passaggio non poteva che essere affidato alla percezione del macchinista, cioè alla sua capacità di vedere un segnale rosso lungo la linea.

A partire dagli anni '30, si sono sviluppati i primi sistemi in grado di portare l'informazione del segnale rosso a bordo della locomotiva. Questo non solo sopperiva alla possibile scarsa visibilità del segnale (nebbia, pioggia, ecc.) ma soprattutto trasformava un'indicazione istantanea (la vista del segnale stesso per pochi secondi) in un'indicazione permanente (una spia luminosa accesa in cabina).

Un dispositivo di ripetizione dei segnali in macchina, come viene comunemente chiamato, può essere realizzato anche con tecnologie relativamente elementari, quali erano disponibili negli anni '30. Ad esempio in Germania si è distinto il sistema Indusi (Induktive Signalsicherung, cioè protezione del segnale induttiva) che è stato applicato con sistematicità all'intera rete tedesca tra il 1934 e gli anni Sessanta e che rappresenta indiscutibilmente una pietra miliare nel campo: ne abbiamo trovato una descrizione per principianti, ma sufficientemente precisa, in un manuale amatoriale del 1955 e la riproduciamo nel riquadro. Una descrizione tecnica completa e molto chiara è disponibile in inglese all'indirizzo www.sh1.org/eisenbahn/rindusi.htm.

Una volta portata l'informazione in cabina, diventa infine relativamente facile garantire la funzione fondamentale del sistema, e cioè l'arresto automatico del treno se il macchinista non dovesse rispettare il segnale rosso.

Il sistema di sicurezza induttivo (INDUSI)

Testo tratto da un manuale tedesco per appassionati di ferrovia, del 1955: Die Märklin-Bahn H0 und ihr grosses Vorbild (tradotto dalla versione inglese del libro).

Fig. 1 - Il magnete del sistema Indusi, montato su tutte le locomotive tedesche a partire dagli anni Trenta ed evidenziato in rosso.

I segnali in ferrovia possono fornire una sicurezza assoluta per la circolazione solo se sono rigorosamente rispettati dal macchinista. Dato che i dispositivi di sicurezza meccanicizzati non hanno parti che possano "distrarsi", un sistema di sicurezza induttivo, o elettromagnetico, è stato installato sulle linee principali. Esso garantisce l'arresto del treno indipendentemente dallo stato di vigilanza del personale di macchina, qualora un segnale a via impedita si presenti davanti al treno. La struttura di questo sistema di sicurezza induttivo consiste in parti che sono fissate al binario e altre che sono poste sulla locomotiva: queste ultime vengono collocate sul lato della macchina e contengono tre circuiti oscillanti attivi (magneti della locomotiva) separati l'uno dall'altro.

La parte di terra del sistema consiste in un'unità posta in tre differenti posizioni alla destra delle rotaie; ciascuna unità è dotata di un circuito oscillante (magnete del binario) con la sua frequenza sintonizzata su quella di uno dei circuiti dell'unità di bordo. Questi circuiti oscillanti si influenzano - o "inducono" - l'un l'altro, se il macchinista dovesse omettere di fermarsi davanti a un segnale, e attuano così il controllo automatico della locomotiva.

Quando il magnete sulla macchina passa sopra il magnete del segnale di avviso, viene attivato un contatto che accende per cinque secondi una luce arancio nella cabina del macchinista, qualora il segnale di avviso mostri l'indicazione Vo 1 o Vz 1 ["giallo" nel regolamento FS, ndr]. Durante questi cinque secondi il macchinista deve premere il tasto di "Riconoscimento". Se questo non viene fatto, viene attivata la frenatura automatica qualora il treno stia marciando a più di 90 km/h. Se, dopo aver premuto il tasto di Riconoscimento, il macchinista non riduce la velocità a non più di 90 km/h nel giro di 22 secondi, viene parimenti attivata la frenatura automatica. La stessa frenatura si attiva se la velocità non è stata ridotta a 65 km/h quando la locomotiva passa sopra il magnete di controllo della velocità, posto 150 metri davanti al segnale principale. Infine se la locomotiva supera il segnale di protezione disposto a via impedita, il magnete del segnale aziona la frenatura.

In questo modo [cioè per come sono stati scelte le posizioni dei magneti e le relative velocità, ndr], ciascun treno viene arrestato automaticamente non oltre 200 metri dopo il segnale a via impedita, cioè il punto di pericolo. Con questa disposizione, gli scambi di stazione non devono essere collocati a meno di 200 metri dal segnale di protezione: così facendo, il sistema di sicurezza induttivo sarà sempre in grado di garantire la sicurezza assoluta sulla sezione di binario.

Tipo di magnete Posizionamento del magnete Frequenza di oscillazione Frenatura automatica (con segnale disposto a via impedita)
Segnale di avviso Al segnale di avviso 1000 cicli Se V>90 km/h dopo 22 secondi
Controllo velocità 150 metri prima del segnale di protezione 500 cicli Se V>65 km/h
Segnale di protezione Al segnale di protezione 2000 cicli Se oltrepassato

 


Un grande vuoto

In Italia la ripetizione dei segnali in macchina è stata affrontata per la prima volta intorno al 1938-40, grazie ad alcuni interessanti esperimenti condotti dall'ing. Minucciani (cfr. un articolo sulla rivista iTreni n. 122, ETR, Salò, 1992). Nel dopoguerra, tuttavia, non si è più parlato di ripetizione segnali fino alla fine degli anni Sessanta, quando è stata finalmente applicata con sistematicità alle linee principali, con circa 30 anni di ritardo rispetto alla Germania e a molte altre nazioni.

Il sistema italiano tradizionale, noto con la sigla RS4C (Ripetizione Segnali a 4 codici), è in realtà più evoluto del vecchio Indusi tedesco, come è naturale per un apparato nato 30 anni più tardi. In particolare esso rileva la condizione dei segnali con continuità e non soltanto al passaggio di punti specifici. Per far questo, però, si deve appoggiare a un particolare regime di circolazione, il Blocco Automatico, che è di norma riservato alle linee principali (si parla precisamente di Blocco Automatico a Correnti Codificate, dove le correnti codificate che percorrono il binario sono appunto quelle che portano in cabina l'informazione sui segnali).

La conseguenza è che, fino ad anni recentissimi, la ripetizione segnali italiana è rimasta confinata a un estensione limitata di linee, sia pure importanti, come è evidente osservando la mappa della rete aggiornata al 2003.

Automatic Train Stop: un ritardo ingiustificabile

Fig. 2 - Fino all'avvento dell'SCMT, di cui diremo fra breve, la ripetizione segnali tradizionale ha riguardato solo una parte della rete FS, quella attrezzata con Blocco automatico a correnti codificate (banalizzato o meno). Su tutte le altre linee non era in funzione alcun dispositivo che garantisse l'arresto del treno nel caso di indebito superamento di un segnale rosso.

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Mappa con/senza ripetizione segnali
Mappa con tutti i regimi di circolazione

 

Benché gli incidenti gravi in ferrovia siano molto rari, sono esistiti in questi anni vari eventi inequivocabilmente riconducibili all'assenza di ripetizione dei segnali (Crevalcore e Roccasecca nel 2005, Cuneo e Palagianello nel 2004, Solignano nel 2000, ...).

E' particolarmente critico osservare come in vari incidenti recenti si sia avuta la concomitanza di locomotiva attrezzata con ripetizione segnali e linea che ne era priva, oppure viceversa (quest'ultimo caso è in verità più raro perché da molti anni praticamente tutti i mezzi FS, escluse le automotrici diesel, sono dotati di Ripetizione).

Fig. 3 - Non sempre gli articoli di giornale descrivono correttamente gli aspetti tecnici delle ferrovie, ma questo disegno, comparso all'indomani dell'incidente di Roccasecca, risponde purtroppo al vero: a distanza di pochi mesi si sono verificati due gravi incidenti dovuti a situazioni opposte di "incoerenza" tra attrezzaggio della linea e del treno (per evitare l'incidente sarebbe stata sufficiente anche la RS4C tradizionale, non necessariamente l'SCMT schematizzata nel disegno).

 


Verso una rete sicura

Proprio per sanare la situazione sicuramente anomala di una rete ancora in buona parte sprovvista di sistemi di sicurezza, RFI ha sviluppato a partire dal 2002 un nuovo sistema di sicurezza che fosse applicabile su larga scala, garantisse tutte le funzioni della ripetizione segnali tradizionale e in più aggiungesse il controllo completo della velocità (la ripetizione tradizionale non vincola la velocità del treno rispetto alle caratteristiche della linea, ma solo rispetto a particolari condizioni del segnalamento).

Si tratta del Sistema di Controllo Marcia Treno o SCMT, che è stato applicato in misura massiccia alla rete RFI tra il 2003 e il 2007.

Infine, a partire dal 2006, la stessa RFI ha sviluppato un sistema più semplice, il Sistema di Supporto alla Condotta o SSC, che, come meglio descritto nelle sezioni che seguono, è destinato alle linee a minor traffico, per le quali l'SCMT sarebbe eccessivamente oneroso.

SCMT/SSC: verso la copertura completa

Fig. 4 (dal sito RFI) - Al 4 ottobre 2007, 9631 km di rete - su circa 16000 totali - sono coperti da SCMT. Sulle linee blu l'SCMT sarà prevedibilmente completato entro fine 2007. Le linee verdi sono o saranno attrezzate con SSC.

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Con la fine del 2007, la rete RFI può considerarsi completamente attrezzata con sistemi di sicurezza moderni, che pongono finalmente termine alla situazione anomala che aveva caratterizzato i decenni precedenti.


SCMT ed SSC: la realtà di oggi

Le considerazioni sui sistemi oggi in uso sulla rete nazionale, SCMT ed SSC, anche in una prospettiva storica, sono contenute nell'approfondimento del 2013 Sicurezza e capacità, all'interno dell'articolo Il sistema ferroviario: hardware e software.


Le ferrovie regionali: un problema ancora aperto

A questo punto occorre però affrontare il caso delle ferrovie regionali (le ex ferrovie in concessione), che si trovano ancor oggi in una condizione di criticità, salvo un ridottissimo numero di casi positivi, e per le quali proprio in questi mesi si stanno discutendo le possibili soluzioni. Tali soluzioni devono tener conto della necessaria "interoperabilità" con la rete RFI, delle situazioni specifiche e molto diversificate delle singole reti e infine dei significativi vincoli economici legati alla scarsità dei finanziamenti e al notevole costo di queste attrezzature.

Il quadro delle ferrovie regionali

Complessivamente, i 3500 km di rete, in larghissima maggioranza a binario semplice, rappresentano il 18% del totale delle linee ferroviarie italiane. Su di essi si effettuano 35.5 mln trenikm annui, pari a circa il 9% del totale dei trenikm effettuati in Italia, a cui si aggiungono 3.5 mln trenikm effettuati dalle stesse imprese ferroviarie su rete RFI.

Le varie reti regionali hanno oltre 35 punti di contatto con la rete RFI, di cui più di 15 utilizzati per servizi "passanti" dalla rete regionale a quella RFI. I restanti sono utilizzati per il semplice attestamento di servizi regionali in una stazione RFI oppure come interconnessioni di servizio.

Lo stato attuale delle ferrovie regionali, dal punto di vista della sicurezza, è gravemente arretrato. La ripetizione segnali tipo FS (RS4C), che offrirebbe una protezione comunque apprezzabile, è presente solo sul 10% della rete: praticamente è limitata a circa un terzo di Ferrovienord e alla Circumvesuviana; ad esse si aggiunge la Merano-Malles di SAD/SBA che, in quanto appena riaperta, è già completamente attrezzata anche in termini di sicurezza. Anche la coerenza tra rete e rotabili è carente: ad esempio vari rotabili, specie se di modello FS, sono dotati di ripetizione segnali ma circolano su una rete che ne è priva (GTT, ST, FER, MetroCampaniaNordEst, ...). Per contro, i rotabili di nuovo tipo (molti dei quali ancora in costruzione) nascono già con un sistema di sicurezza installato, di norma l'SCMT.

Infine è da tener presente che l'installazione di sistemi di ATP richiedono alcune condizioni minime sul regime di circolazione e sugli apparati di comando. Per alcune ferrovie regionali tecnologicamente arretrate, l'adozione di ACEI, CTC e BCA diventa pertanto una condizione necessaria per poter installare anche un sistema di sicurezza.

Nel corso del 2007, tutte le regioni hanno svolto una ricognizione sulla sicurezza, individuando il sistema che meglio si addice alle loro peculiarità, naturalmente scelto tra SCMT ed SSC. In estrema sintesi:

Esclusa la già citata SAD/SBA dell'Alto Adige, alla metà del 2007 tutta la rete è ancora da attrezzare, mentre la flotta già attrezzata si limita di norma a pochi treni nuovi o ancora in costruzione.


L'esempio di Ferrovienord

Per la selezione del sistema da adottare su FN/LeNORD sono stati considerati i seguenti aspetti:

Il sistema SSC - integrato con funzioni che tengano conto delle specifiche caratteristiche dell'esercizio sulla rete regionale gestita da FN - soddisfa gli aspetti citati ed è stato pertanto scelto come il sistema di base per l'intera rete Ferrovienord e per tutta la flotta utilizzata da LeNORD.

In particolare l'SSC è stato considerato preferibile rispetto all'SCMT per gli aspetti di costo inferiore, rapidità di installazione e semplicità di funzionamento, che appaiono determinanti nel difficile contesto della rete regionale lombarda.

Di conseguenza tutta la rete, rami Milano e Iseo, sarà dotata di SSC, sovrapponibile al BAcc (Blocco Automatico a correnti codificate) ed al BCA (Blocco Conta Assi) attualmente in dotazione; analogamente tutto l'attuale parco circolante verrà dotato di SSC (e non di SCMT), limitandone l'utilizzo alla rete FN.

Per garantire la piena sicurezza anche sulle tratte RFI dotate di SCMT, si prevede di attrezzare con SCMT tutti e soli i rotabili destinati a circolare sia sulla rete FN, sia sulla rete RFI: in pratica i 78 TSR oggi in costruzione, che avranno dunque un "doppio attrezzaggio" SCMT+SSC.

Una volta conseguito uno standard omogeneo sulla rete, in una seconda fase, per sfruttare al massimo la capacità dell'infrastruttura, sarà possibile intervenire sulle tecnologie correlate al distanziamento dei treni, e in particolare con soluzioni basate sul "blocco mobile": una tecnologia già ampiamente diffusa all'estero ma ancora del tutto assente in Italia, che sarebbe preziosa per aumentare la capacità dell'infrastruttura soprattutto nelle tratte interessate dal Servizio Ferroviario Suburbano.

Il costo totale per i rotabili esistenti è stimabile intorno a 15 mln Euro, mentre per la rete è di circa 20 mln Euro, cui vanno aggiunti circa 5 mln Euro per lo sviluppo delle nuove funzionalità previste sulle linee a più intenso traffico, per un totale dell'ordine dei 40 mln Euro (esclusa l'SCMT dei TSR, già compresa nel prezzo di fornitura per un valore di ben 30 mln Euro sul totale di 78 treni).


I costi e le risorse disponibili

Complessivamente, l'impegno economico per l'attrezzaggio di tutte le ferrovie regionali italiane sarebbe dell'ordine di circa 670 mln Euro, di cui meno di 150 finanziati e oltre 500 da finanziare.

A fronte di queste esigenze, il quadro delle risorse disponibili è quanto mai critico. In particolare, nonostante le promesse, già la Finanziaria 2007 non conteneva alcuna risorsa se non una piccola cifra a favore solo delle ferrovie in Gestione Commissariale Governativa e di proprietà del Ministero, che coprono una quota assai modesta del totale delle ferrovie regionali (se non andiamo errati, solo le Ferrovie della Sardegna, le Ferrovie della Calabria e la Circumetnea): si tratta per l'esattezza, 15+15+15 mln per il triennio 2007-2008-2009.

Anche la bozza attuale della Finanziaria 2008 non prevede nulla, se non un rifinanziamento, ancora una volta, di quelle stesse ferrovie del Ministero (10+10+15 mln per il triennio 2008-2009-2010).

Si ha quindi un finanziamento parziale di 80 mln a fronte di necessità superiori a 500. E' evidente che, in mancanza di risorse, l'adeguamento tecnologico delle ferrovie regionali verrà ancora una volta rimandato. Le criticità maggiori sono dunque:

In ogni caso, la mancanza di risorse rende di fatto molto critico il rispetto da parte delle Regioni delle scadenze fissate dalla Direttiva Ministeriale. Tuttavia ci pare che questa direttiva riguardi solo la circolazione su rete RFI: questo ci fa sorgere il timore che eventuali risorse vengano concentrate sull'attrezzaggio dei rotabili regionali destinati a circolare sulla rete RFI. In tal modo si avrebbe il rispetto formale dei vincoli di legge, ma un vero sistema di ATP, autentica necessità di tutte le ferrovie, resterebbe ancora una volta incompiuto.


Approfondimento:

Leggi una lettera aperta di un ex ferroviere all'amministratore delegato di FS (tratta da www.lavoce.info).


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Aggiornato a ottobre 2007

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