Scritto a novembre 2014
Nel dibattito sul finanziamento del trasporto pubblico locale (TPL) si sente sempre più spesso parlare dei costi standard, che sono ormai previsti anche da varie leggi (non sempre perfettamente chiare). Per dare un'idea di che cosa si tratti, e di come si inserisca nel resto delle regole del TPL, ho preparato questo testo. Con la doverosa precisazione che il tema è tutt'altro che risolto anche nella stessa normativa, e quindi, ahimé, i paragrafi che seguono non contengono soluzioni. Ma almeno spero aiutino a capire il problema.
Il Fondo Nazionale per il TPL, istituito a partire dall'anno 2013, ha un'origine eterogenea, in quanto è stato costruito sommando varie fonti di finanziamento preesistenti, alcune delle quali - tipicamente quelle già fiscalizzate, relative al TPL gomma - avevano ormai perso buona parte dei legami con grandezze "fisiche" del servizio (estensione della rete, produzione di buskm ecc.).
Solo la quota Trenitalia era ragionevolmente ancorata alla produzione ferroviaria, ma, per contro, aveva il grosso limite di non essere mai stata aggiornata dall'anno 2000, risultando quindi obsoleta soprattutto per le Regioni come la Lombardia che avevano significativamente potenziato il servizio.
Questa genesi del Fondo si traduce in un riparto tra le Regioni che è molto convenzionale: da questo problema reale è nato tutto il dibattito sulla definizione di un nuovo riparto, che, nonostante i forti conflitti tra Regioni, ha portato finora a risultati modesti (le piccole correzioni apportate hanno inciso per quote dell'ordine dello 0,5%, con spostamento complessivo di una decina di milioni su un totale di quasi 5 miliardi).
Per definire un nuovo riparto, e più in generale per dare un fondamento più solido al finanziamento statale del TPL, è stata da tempo individuata la strada dei costi standard, vale a dire la definizione di un costo unitario per ciascuna tipologia di servizio, basato su alcuni "driver" - ad esempio la velocità commerciale - che determinano il costo reale per l'impresa.
E' evidente che è necessario ottenere un forte compromesso tra la semplicità del calcolo e la rispondenza alla realtà, in genere molto complessa (si noti che il costo standard, a pari condizioni di servizio, è pensato per essere uguale per tutte le Regioni).
Il Catalogo di Trenitalia, entro certi limiti, può essere pensato come la definizione di un costo standard, ma soffre evidentemente dell'impostazione unilaterale: il costo è stato dichiarato dall'azienda monopolista, senza possibilità di verifica o negoziazione da parte della controparte regionale. In questo modo è evidente che l'azienda non ha particolare interesse a migliorare i propri costi.
La definizione del puro costo standard non è tuttavia sufficiente a coprire l'intero percorso logico del finanziamento del TPL. Infatti occorre tener presente anche i seguenti aspetti:
Nel quadro delle varie riforme che hanno interessato il TPL a partire dai tagli alla spesa del 2010 (DL 78/2010) il tema dei costi standard è stato spesso considerato come un punto chiave. Ai fini del normale finanziamento del TPL attraverso i contratti di servizio, è evidente che il costo standard di maggiore interesse è quello in spesa corrente, a cui si è fatto riferimento fin qui. E' tuttavia necessario evidenziare come una legge dello Stato (L 42/2009), con singolare scelta, abbia introdotto in via prioritaria il calcolo dei costi standard per gli investimenti: si tratta di un tema tecnicamente ed economicamente più complesso, in cui l'affidabilità dei dati risulta ancora più critica, e ovviamente di utilizzo non immediato nel dibattito sul Fondo Nazionale per il TPL.
Di fatto i due costi standard - spesa corrente e investimenti - stanno andando avanti in parallelo, anche se nessuno dei due è ancora arrivato, nemmeno lontanamente, a un punto fermo condiviso.
L'ultimo aspetto chiave, una volta definito il costo standard, riguarda la sua modalità di utilizzo. E' evidente che esso dovrebbe servire a quantificare le risorse necessarie a ciascuna Regione e quindi un nuovo riparto del Fondo Nazionale.
E' ragionevole ipotizzare che l'utilizzo di valori medi su base nazionale, come richiesto dalla metodologia, possa condurre a valori di costo delle singole Regioni significativamente diversi da quelli attuali, e dunque anche a ipotetiche quote di riparto del Fondo Nazionale lontane dai valori consolidati; visto l'elevato tasso di conflitto (eufemismo...) che si è registrato nel precedente dibattito sul riparto del Fondo, dove le oscillazioni in gioco erano inferiori all'1%, appare legittimo domandarsi come si contino di gestire oscillazioni a scala regionale anche di un ordine di grandezza superiore.
L'Osservatorio TPL, costituito in seno al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (L 244/2007 art.1, c.300), ha cominciato di fatto ad operare nel 2013, in concomitanza con l'istituzione del Fondo Nazionale per il TPL (cinque anni abbondanti per iniziare a operare: evidentemente la fretta non è un difetto degli organi dello Stato...).
La legge istitutiva del Fondo (L 228/2012) ha infatti riservato all'Osservatorio il compito di raccogliere i dati necessari a verificare gli effetti delle "riprogrammazioni" del servizio che venivano imposte alle Regioni per poter accedere all'interezza del Fondo (in particolare all'ultimo 10% definito "premiante").
Si noti che fino ad oggi la larga maggioranza delle informazioni sulla produzione e sull'utilizzo del TPL sono state raccolte per via statistica, con legittimi dubbi sull'affidabilità e coerenza dei dati. Un aspetto chiave dell'Osservatorio era dunque passare a una raccolta dati sistematica e non statistica, a partire dall'annualità 2012.
Nella primavera 2014, dopo lungo dibattito, l'Osservatorio ha prodotto una serie di tabelle (di norma una tabella per ogni azienda e contratto di servizio) destinate ad essere riempite con i principali dati di produzione del 2012. Non essendo tuttavia ancora disponibile un software di raccolta dati, l'Osservatorio ha esplicitamente prescritto alle aziende di compilare le tabelle, ma di attendere ulteriori istruzioni prima di inviarle. Analoga impostazione, pochi mesi dopo, è stata seguita per i dati 2013.
Ad oggi pertanto l'Osservatorio non ha ancora fisicamente in mano i dati previsti (salvo forse un piccolo sottoinsieme per alcune grandi aziende di TPL urbano).
L'Osservatorio è finanziato con una piccola quota del Fondo Nazionale, pari allo 0,025%, che sono pur sempre circa 1,2 milioni di euro all'anno.
AGGIORNAMENTO 11/2016.
Dopo il primo tentativo di raccolta dati "manuale", di cui si è appena detto, nella primavera 2015 si è organizzata una nuova campagna di raccolta via web, con i dati inseriti direttamente dalla aziende di TPL. In questo modo, dall'estate 2015, il Ministero dispone per la prima volta di una base dati consistente e comprensiva di tutto il TPL italiano, relativa agli anni 2012, 2013 e 2014 (il triennio è stato infatti raccolto simultaneamente). Analogamente, nell'estate 2016 si sono raccolti i dati 2015 (anche se in una forma più semplificata e ahimé non del tutto coerente con la precedente...)A fine agosto 2014, il Ministero delle infrastrutture ha reso disponibile alla Conferenza unificata (Regioni ed Enti Locali) una bozza di decreto che delinea un metodo di calcolo per i costi standard del TPL.
Lo schema di decreto propone il calcolo dei "costi operativi del servizio" (quindi in spesa corrente) come risultato di una analisi statistica sui dati elaborati a cura dell'Osservatorio a livello nazionale ("analisi di regressione lineare multivariabile").
Semplificando al massimo, il costo standard che dovrebbe uscire è un'elaborazione un po' più sofisticata di una semplice media, ma resta di fatto ancorata ai valori storici registrati dall'insieme di tutte le aziende di cui l'Osservatorio sta raccogliendo i dati (non è quindi un metodo bottom-up che ricostituisce i costi totali partendo da voci elementari stimate individualmente "a priori").
In linea di massima il metodo sembra unire una ragionevole semplicità di utilizzo (nell'ipotesi che sia disponibile una base dati sufficientemente robusta) alla speranza di ottenere risultati attendibili e in questo appare un compromesso tutto sommato accettabile.
Tuttavia la documentazione messa a disposizione dal Ministero (bozza di decreto e allegati) rappresenta solo lo schema metodologico di calcolo: non contiene valori numerici e di conseguenza non fornisce risultati.
Non risulta tra l'altro chiaro se il decreto verrà approvato solo come metodologia oppure già comprensivo di valori numerici (in particolare negli allegati oggi tutti "vuoti").
Questo significa che allo stato attuale non è possibile procedere ad un confronto con le elaborazioni già effettuate da alcune Regioni (tra cui la Lombardia) o università (come la Sapienza) né tantomeno risulterebbe utile procedere ad una applicazione del metodo alle sole aziende di una Regione, in quanto i risultati prodotti dall'Osservatorio deriveranno da analisi su base nazionale e non per singola Regione.
Si ritiene inoltre che per un giudizio circostanziato sulla bontà e robustezza del metodo sia indispensabile disporre quanto meno di una prima applicazione "completa", cioè tale da arrivare a quantificare numericamente i costi unitari, almeno per un sottoinsieme di modi (ad esempio il bus interurbano e la ferrovia su rete nazionale).
E' tuttavia evidente che i tempi per arrivare a questa applicazione non sono immediati: occorrerebbe prima di tutto disporre della base dati (le tabelle compilate ma mai raccolte dall'Osservatorio) e poi procedere alla loro elaborazione. Qualora invece il Ministero decidesse di pubblicare il decreto così com'è, come sola metodologia, i tempi sarebbero ovviamente più veloci, ma in tal caso verosimilmente l'utilizzo pratico dei costi standard sarebbe ancora di più rimandato al futuro. La strada, come il lettore intuirà, è ancora parecchio lunga...